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Destiny, Assassin's Creed fan-fiction

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\\ Kanda //
view post Posted on 15/6/2013, 18:12 by: \\ Kanda //     +1   -1




Eccomi! =D
Sono uscita in libertà vigilata, i manuali universitari mi tengono ancora sotto assedio, ma sono riuscita a finire almeno un capitoletto ^^"
Come al solito...spero piaccia =D
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Sequence VI

Remembrance of First Sight


Un’alba calda e rosata salutò la mia uscita dalle porte di Acri, mentre il cavallo bianco che montavo prendeva stancamente la via che mi avrebbe portato nel cuore della strada per la Citta Santa.
Willibald, uno dei membri della Guardia del Gran Maestro, mi precedeva, aprendo la strada.
Oltre a noi due, nessun altro ci accompagnava. Il resto della Guardia era partita la sera precedente, mentre la maggior parte già si trovava a Gerusalemme da pochi giorni. Cominciavo a pensare che Roberto avesse avuto in mente un piano ben preciso molto prima del nostro incontro.
Tutto era predisposto con fin troppa cura ed io non mi ero mai sentita una misera pedina quanto in quel momento.
Mai avevo messo in dubbio il mio ruolo o le mie convinzioni, eppure questa missione quasi suicida le stava minando nel profondo. Come potevo avere piena fiducia nell’Ordine, se persino la sua vetta si sentiva in diritto di sacrificare senza alcun ripensamento i suoi sottoposti, coloro che la sostengono? Roberto, era pur vero, aveva mostrato una completa fiducia nella mia riuscita, ma avevo la crescente sensazione che, se anche fossi perita, non si sarebbe dato più peso di quanto non avesse fatto per la precoce morte di Sibrando.
Non dovevo sperare nell’aiuto di nessuno e nemmeno potevo pensare di fuggire, poichè Roberto me l’aveva espressamente vietato. Avrebbe potuto considerarlo finanche tradimento, forse.
Turbata da questi pensieri fin nel profondo del mio animo, mandai il mio destriero al trotto, seguendo la mia scorta da vicino.
Eccetto quanlche scarno manipolo di guardie, per lo più all’incrocio delle strade maestre, ed i contadini e artigiani che abitavano i miseri paesini dell’interno, non v’era anima viva. I sentieri che si inerpicanano nelle valli erano deserti, come pure i profondi canaloni scavati dalle intemperie e da qualche antico e defunto corso d’acqua.
Eravamo soli.
Non potevamo contare nemmeno sulle diverse torri di guardia sparse sul territorio. I cadaveri scomposti dei loro occupanti, abbandonati nella polvere, rendevano chiaro da chi ormai fossero controllate.
Assassini.
Avremmo dovuto evitarle, per quanto possibile, ma questo, naturalmente, non avrebbe fatto altro che rendere il viaggio tortuoso e molto più lungo del previsto.
Sentivo costantemente sulla pelle la sensazione d’essere seguita in ogni passo e pregai che fosse solamente la mia autosuggestione.
Quando il sole fu alto nel cielo, Willibald imboccò uno stretto sentiero, chiuso fra le rocce, deviando nuovamente dalla strada principale.
“Mia Signora, poco più avanti si trova uno specchio d’acqua. Potete concedervi una pausa, se vi aggrada, resterò di guardia.”
Dovetti ammettere che ero piuttosto spossata. Il caldo torrido di quelle latitudini, unito alla cavalcata e alla mancanza d’ombra, aveva affaticato il mio corpo. E non potevo permettermi un passo falso a causa della stanchezza.
Annuii, mentre il templare mi conduceva verso la sorgente.
Appena vi giungemmo, scendemmo da cavallo ed io mi diressi verso lo specchio d’acqua, mentre la mia guida andò a pattugliare l’ingresso del sentiero.
Tolsi il pesante mantello, poggiandolo al mio fianco e mi inginocchiai sulla riva del modesto laghetto, immergendovi le mani.
L’acqua era fresca e limpida, proprio ciò di cui avevo bisogno.
Mi rinfrescai il volto e il collo, prendendomi tutto il tempo necessario. Quel clima era insopportabile.
Poi mi irrigidii.
Mi era parso di sentire un grido soffocato, seguito da un tonfo sordo. Probabilmente era solamente la brezza che scuoteva gli arbusti e i rami, o qualche volatile dal verso particolarmente acuto.
Nonostante cercassi di convincermene, la sensazione di paura che attanagliava la bocca del mio stomaco non accennava ad abbandonarmi.
Inoltre, Willibald era lontano da troppo tempo. Sarebbe già dovuto tornare, per proseguire il cammino.
Non poteva essere...
Cautamente, estrassi la spada e mi incamminai verso lo sbocco del sentiero, rasentando il muro. I battiti del mio cuore erano frenetici, quasi udibili.
Cercando di evitare ogni rumore, un passo dopo l’altro, mi avvicinai all’imbocco della stradina, nascondendomi dietro la curva che essa creava, prima di dare sulla via maestra.
Diventai un tutt’uno con la parete rocciosa, poi, con estrema cautela ed una dose di sana paura, mi affaccia un poco, già sospettando in parte chi mi sarei trovata ad osservare.
Le mie attese furono, purtroppo, confermate.
La mia guardia del corpo giaceva esanime, il sangue che dalla sua gola era andato a macchiare il terreno arido, la spada ancora in pugno.
Se non altro, era riuscito a conservare l’onore di una morte da combattente.
Per di più, notai, era riuscito a ferire Lui.
A pochi passi dal cadavere, l’Assassino giaceva inginocchiato a terra, premendosi un fianco, in cui una ferita andava macchiando di cremisi la veste candida che lo contraddistingueva.
Quale ironia un abito con un così puro colore, per colui che si era macchiato di tante e tali uccisioni.
Era riprovevole.
Strinsi con più forza l’elsa della mia spada, fin quasi a far sbiancare le nocche.
Sudavo freddo.
Quell’uomo era riuscito ad uccidere una delle spade più esperte dell’Ordine, benchè ferito, nulla gli avrebbe impedito di fare lo stesso con me. Inoltre, per quanto allenata, restavo pur sempre una donna.
In quanto a forza fisica non avrei potuto compensare il divario tra me e quell’uomo, addestrato ad uccidere fin da quando era stato in grado di reggere un’arma.
Io non avevo mai tolto la vita a nessuno.
Il mio svantaggio si insinuava in me, come una condanna a morte, una consapevolezza vivida, lidea d’essere in trappola...
Eppure, ora Lui era lì, ferito ed inerme.
Era l’occasione giusta per porre fine alla questione, ancor prima che la situazione proposta dal Maestro ponesse a certo rischio la mia vita.
Avrei potuto ucciderlo ora...
A fatica, si rialzò, appoggiando la parete alla roccia alle sue spalle, nel tentativo di rimanere ritto in piedi, ma senza lasciare il fianco leso.
Non riuscivo a vederlo in volto a causa del cappuccio, ma scorgevo chiaramente la sua bocca contratta in un’espressione di dolore.
Era il momento...
Tesi i muscoli, pronta a balzare dal mio rifugio, cogliendolo di sopresa. Era l’unico modo per poter uccidere un Assassino.
Sperai che non si accorgesse della mia presenza fin quando non fosse stato troppo tardi...
Ma non riuscii nel mio proposito.
Fu il suo sguardo ad impedirmelo.
Nel momento in cui avevo raccolto il coraggio necessario per compiere il mio dovere, si era liberato momentaneamente del cappuccio che gli oscurava il volto, forse per trovare un po’ di respiro e alleviave la sua pena.
Avevo sempre considerato gli Assassini come bestie prive di valori, un branco di predatori incapaci di ogni sentimento...eppure il volto che mi trovavo di fronte era...umano.
Non trovai modo migliore per esprimerlo.
Il suo sguardo era espressivo, severo e contratto dal dolore per la ferita, ma vi leggevo anche una miriade di altri sentimenti.
Angoscia, determinazione....dubbio.
Fissava il corpo esanime di fronte a lui come se non fosse sicuro d’aver fatto la cosa giusta, come se ucciderlo fosse stato un errore.
Era un Assassino, sarebbe dovuto essere naturale come un respiro,per uno come lui, togliere la vita al prossimo.
Eppure l’uomo che mi stava di fronte era combattuto, glielo potevo leggere negli occhi, nutriva dubbi sul suo operato, era insicuro.
Non riuscii a ucciderlo.
Di fronte a me vedevo un uomo, non un Assassino.
Non ero un omicida...non avrei mai potuto ucciderlo a sangue freddo, ora che ne avevo osservato il volto...
Quell’espressione sofferente e combattuta, eppure così determinata, avrebbe continuato a vorticarmi davanti agli occhi.
Silenziosamente, strisciai indietro, verso lo specchio d’acqua, rinfoderando la spada. Recuperato il mantello, mi calai il cappuccio sul volto e salii a cavallo, spronandolo ad un galoppo sfrenato verso l’uscita opposta della gola. Ora si sarebbe di certo accorto che il Templare non era solo, ma quando avesse raggiunto la sorgente, io sarei stata ormai già molto lontana.
Digrignavo i denti, con rabbia. Un giorno, ne ero certa, mi sarei pentita di questa debolezza.

***


La sveglia sul mio comodino mi fece letteralmente balzare in piedi.
Spaesata, mi guardai intorno, spegnendo l’insolente apparecchio.
Era la mia solita stanza.
Accanto a me, il letto dove russava la solita Catherine.
Eppure, quel sogno era stato così vivido e reale, che per un secondo fui convinta di svegliarmi in una profonda gole tra le montagne palestinesi.
Non era normale...
O meglio, quello non sembrava affatto un sogno.
Mi aveva lasciato impressioni contraddittorie, ma mi sentivo quasi come se avessi rivissuto un ricordo. Era la stessa sensazione che vivevo quando cercavo di riportare alla mente episodi della mia infanzia.
No, non era possibile.
Dovevo essermi lasciata suggestionare dagli avvenimenti del giorno prima.
Solo il giorno prima...sembrava fosse passato un secolo.
Mentre svolgevo la mia routine mattutina, infischiandomene dei rumori che avrebbero potuto svegliare quella serpe, cercai di convincere il mio Io che, per quanto realistico, si era trattato solamente di un sogno.
Il fatto che quel tipo incappucciato che mi ero immaginata somigliasse in modo inquietante a Desmond, doveva esserne la prova.
Altri dettagli però non quadravano.
Per sognare qualcosa era necessario averla conosciuta, almeno una volta, perchè essa si depositasse negli angoli più reconditi del nostro inconscio, per poi apparire quando la nostra mente non teneva le redini della situazione, nel sonno.
Solo che questi Assassini, io non avevo la più pallida idea di chi fossero.
Per di più, avevo vissuto la vicenda in prima persona, non certo da spettatrice. Non avevo idea di chi fosse quella Maria, ma, nel breve spazio di quel sogno, sembrava quasi fossi assimilata a lei...ero io Maria, diamine.
Avevo sentito le sue emozioni, la sua paura...per un attimo avevo davvero voluto uccidere quell’uomo,con tutta me stessa. Ma questo non aveva senso se quell’Assassino somigliava così tanto a Desmond.
Io non avrei mai voluto nè potuto uccidere Desmond!
Non potevano essere ricordi o sensazioni del mio inconscio, era impossibile!
Perchè mai, inoltre, avrei dovuto impersonare una Templare? La croce che Maria, quindi io, portava sul mantello era identica a quella del padre di Catherine e a quella che quest’ultima aveva tatuata sul collo, in più pareva che quella donna medievale fosse anche un pezzo grosso in quell’ambiente.
Che motivo avevo di immaginarmi in quei termini?
Io detestavo quella gente! Chiunque fossero, avevano costratto Desmond a fuggire...lo volevano morto!
Ero confusa e, non lo negai, quasi spaventata.
Quella notte non era stata di alcun aiuto nel chiarirmi le idee, anzi, non aveva fatto altro che confonderle ancor di più.
Uscii dalla stanza, sperando che un cornetto alla marmellata, prima delle lezioni, mi avrebbe aiutato a ragionare meglio.
Era ancora presto e la mensa era pressoche vuota, così riuscii ad appropriarmi di uno dei pochi e ambiti tavoli affianco ad una delle grandi finestre che davano sul cortile.
Più passava il tempo, più i ricordi di quel sogno diventavano vividi, anzichè tornare nell’oblio, come sarebbe dovuta essere la norma.
Nomi e luoghi cominciarono a vorticarmi in testa, per di più, ricordai, quella mattina dovevo seguire la lezione sull’archeologia del Vicino Oriente antico e medievale...il che non mi avrebbe certo aiutato.
Stancamente, mi diressi verso l’aula, sperando che fosse già accessibile.
Fortunatamente la porta era aperta e molti studenti avevano già preso posto. Salii qualche gradino e mi sistemai comodamente in terza fila, estraendo dal borsone un quaderno e una penna. Non che avessi molta voglia di prendere appunti quel giorno, comunque...
Immersa nei miei pensieri, attesi l’arrivo dell’insegnante, rigirandomi tra le mani il ciondolo che Desmond mi aveva lasciato prima di fuggire. Più lo osservavo, più la sensazione di familiarità si accresceva.
Dove…dove l’avevo visto?
Dovevo essere pazza, o forse stavo solo dormendo troppo poco. Rimisi il ciondolo al sicuro, sotto la maglia. Scossi la testa.
No, decisamente non potevo conoscere quel simbolo.
L’auto convincimento stava prendendo una parte un po’ troppo consistente nella mia vita.
Fortunatamente qualcuno entrò nell’aula, riportando la mia mente alla più tranquilla routine quotidiana.
Il professor Allath era un individuo altero, ma con un volto bonario che sembrava essere immune ai segni del tempo. Da giovane si era trasferito negli Stati Uniti dalla Siria, sua patria, per sostenere i propri studi, laureandosi in antichità vicino-orientali, come la sua provenienza gli aveva suggerito. Era uno dei massimi esperti nel campo e le sue lezioni, benché altamente tecniche e quindi, estremamente complesse per la sottoscritta, erano forse tra le più interessanti del corso che seguivo.
Quel giorno, tuttavia, non era solo. Un giovane occhialuto dai capelli chiari lo accompagnava, portando un’immane pila di fogli con sé. Temetti che potesse crollare sotto il loro peso. Ci venne presentato come dottor Hastings, uno studioso inglese d’arte, il quale, essendo in visita presso la nostra biblioteca, aveva gentilmente acconsentito, sotto invito del docente, ad erudirci con una lezione incentrata sull’architettura dell’antica provincia romana di Giudea.
Grandioso.
Qualche entità superiore quel giorno si era svegliata con la decisa intenzione di privarmi della mia sanità mentale.
Tra tanti argomenti…
Nonostante il mio essere prevenuta, la lezione si rivelò interessante e priva di “controindicazioni” per la sottoscritta, anche se le spiegazioni di quel tipo erano pedanti e soporifere fino allo sfinimento. La prima impressione che mi lasciò fu d’essere abbastanza pieno di sé, quasi compiaciuto della sua saccenza.
“Ora vorrei prestaste attenzione a queste architetture.” Continuò, scorrendo le diapositive, “Questa no…nemmeno…ecco.”
Quando infine trovò quanto stesse cercando, quasi mi venne un accidente.
D’accordo, l’immagine era quella di un edificio in rovina, la massima parte dell’alzato era crollato e fatiscente, ma avrei potuto riconoscere ovunque quelle strutture.
Le torri.
Le stesse dannate torri che io…che Maria aveva disperatamente cercato di evitare, proprio lì, nel territorio intorno a Gerusalemme. I battiti del mio cuore volavano.
Come era possibile che avessi sognato luoghi reali, che mai avevo avuto occasione di osservare, prima d’oggi e per di più con un così esatto ricordo di ogni particolare? Le aperture, le porte…persino le modanature delle pareti erano perfettamente identiche.
Non era normale…
“All’interno di questi edifici, che in antichità dovevano certamente raggiungere l’altezza di diversi piani, gli archeologi hanno rinvenuto un cospicuo numero di cadaveri ammassati e scomposti, tuttavia con ancora indosso la propria panoplia militare. Naturalmente ignoriamo il motivo per cui questi uomini siano stati sepolti qui, ma gli studiosi sono concordi nel ritenere che queste particolari torri fossero fornite, nelle porzioni più elevate, di loculi, in una sorta di grande sepolcro militare, per soldati semplici, il quale, crollando, ha fatto in modo che noi trovassimo i corpi ammassati al piano terra.”
Altre immagini degli scavi iniziarono ad essere presentate, ma la mia mente era altrove.
Non erano tombe.
Quelli non erano crollati, erano rimasti nel luogo in cui Lui li aveva uccisi.
Mi rendevo conto che stavo cominciando a considerare quel sogno come qualcosa di troppo reale. Non era altro che la mia immaginazione, no?
Forse no…
Ma per quale motivo avrei dovuto ricordare eventi di cui non avevo fatto parte? Dannazione, si parlava di almeno mille anni prima! Che centravo io?!
Dovevo saperne di più, subito, scoprire se anche i personaggi coinvolti in quella bizzarra nottata fossero realmente esistiti o se stessi effettivamente volando verso i limiti della pazzia.
 
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