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Destiny, Assassin's Creed fan-fiction

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\\ Kanda //
view post Posted on 26/5/2013, 19:22 by: \\ Kanda //     +1   -1




Aggiornata dopo due mesi....questa sessione estiva mi sta uccidendo XD
Spero comunque sia venuto fuori qualcosa di buono =D
Come sempre ecco il link di EFP
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SequenceV


Remembrance of a Journey



Presi fiato.
Tornare al campus si era rivelato più difficile del previsto, soprattutto per via della costante paranoia d’esser seguita, ma Desmond aveva avuto ragione. All’università non era rimasto nessuno, anche la berlina scura ed il padre di Catherine erano spariti.
Di me non gliene fregava nulla, erano venuti in forze fin lì solo per lui.
L’angoscia continuava a rodermi dentro. Non avevo idea di che sorte l’avesse colto, se l’avessero catturato o fosse riuscito a fuggire. Nulla.
In più, la prospettiva di dover attendere una settimana intera prima d’avere sue notizie avrebbe potuto uccidermi.
Non dovevo pensarci...ma come potevo?
Mi sentivo dannatamente in colpa, anche se ero consapevole che, dopotutto, non era causa mia se la sorte aveva voluto affibiarmi proprio la figlia di uno di questi Templari, come lui li definiva, come compagna di stanza. Però, se fossi stata più cauta, forse, le cose sarebbero volte in modo diverso...no?
Recriminare non serviva a nulla.
Tastai il ciondolo che Desmond mi aveva lasciato, ora accuratamente occultato sotto la maglia. Averlo, in un certo senso, me lo faceva sentire un po’ più vicino.
Ero distrutta.
La corsa, la paura, ma soprattutto la lacerante sensazione di perdita che provavo, mi stavano sfiancando. Mi sentivo come se mi avessero menomata. I suoi baci, caldi e passionali, ancora bruciavano sulle mie labbra e l’idea di non poterlo rivedere prima di una settimana, nella migliore delle ipotesi, in quel momento era inconcepibile.
Dovevo calmarmi, riordinare i pensieri di quella giornata pazzesca e riprendere il controllo su me stessa. Dare di matto non sarebbe servito a nulla, inoltre, Catherine non doveva assolutamente accorgersi di nulla, men che meno che potessi essere in contatto con Desmond.
Era vitale che lei ne restasse all’oscuro.
Cercando di fare attenzione a non provocare nemmeno il più lieve suono, mi addentrai nella mia stanza. Catherine dormiva della grossa, russando come un ippopotamo con la sinusite, come al solito.
Senza far rumore mi misi il pigiama a mi ficcai sotto le coperte, controllando che la mia compagna fosse ancora nel mondo dei sogni. Fu allora che lo notai.
Proprio dietro al collo, la mia coinquilina aveva tatuata, circondata da rose ed arabeschi davvero graziosi, la stessa croce patente che suo padre portava al petto. Forse a causa dell’abbigliamento invernale, ma non l’avevo mai notata prima.
Sudavo freddo.
Vivevo da mesi col “nemico” e nemmeno me n’ero resa conto.
Chissà quante e quali informazioni aveva passato a quel maledetto, da quando le era parso chiaro che avevo iniziato a frequentare Desmond. Glieli avevo tirati addosso e nemmeno ne ero stata conscia.
Tutti i piccoli pezzi del puzzle iniziavano ad andare a posto...
Inoltre, più la fissavo, più quella croce non mi risultava estranea...come anche quello strano simbolino che ora portavo appeso al collo. Qualcosa in me li conosceva antrambi, li collegava, dando loro una sfumatura che non riuscivo ad identificare. Cominciavo però a pensare che, forse, cercare di capire cosa potessero riportarmi alla mente, avrebbe potuto aiutarmi a controllare meglio la situazione.
Certo, magari erano solo paranoie date dagli eventi e non significavano nulla, tuttavia, cos’altro avevo da fare? Ero comunque bloccata, non potevo aiutare Desmond, nè scappare, nè agire in qualsiasi altro modo senza che Catherine e, per esteso, quel dannato di suo padre lo venissero a sapere.
Sdraiata su un fianco, fissavo insistentemente il delicato tatuaggio della ragazza, sperando che mi portasse alla mente qualcosa di sensato.
Fu così che, con la mente in subbuglio, mi addormentai e feci il primo di una serie di strani sogni che, ancora non ne ero conscia, avrebbero popolato molte delle mie notti future...

***


Onde.
Tutto ciò che vedevo e avvertivo erano le costanti e fastidiose oscillazioni provocate dal mare. Non che soffrissi i viaggi in nave, ma dopo diversi giorni di navigazione, anche il mio stomaco iniziava a protestare. Fortunatamente, senonaltro, ero nutrita meglio di quei rozzi marinai che continuavano a guardarmi con sospetto. Non dovevano essere particolarmente abituati nel vedere una donna con una spada al fianco, ne avevo dedotto.
Stufa del monotono paesaggio che si offriva al mio sguardo, tornai sottocoperta, nella piccola cabina a me riservata.
Il viaggio stava ormai per terminare, almeno a detta del capitano, così decisi di approfittare degli ultimi attimi di pace a me concessi. Slacciai la fibbia della spada e la posai in fondo al letto, assieme all’ampio mantello che vestivo e mi sdraiai sul letto, lasciando che il dondolio della nave mi cullasse.
Lo sciabordio delle onde sullo scafo rilassava mente e corpo, cosicchè sobbalzai quando un marinaio venne a chiamarmi. Senza accorgermene mi ero profondamente addormentata.
“Mia Signora, siamo in vista del porto.” Sentii, oltre l’esile asse che era la porta della cabina.
Mi alzai dal letto, massaggiandomi le tempie. Diamine, avevo dormito troppo.
“Bene.”
Udii i suoi veloci passi risalire in coperta, frettolosamente.
Coi pensieri volti verso ciò che mi aspettava ed il caldo immane che avvolgeva quelle latitudini, rispetto alla mia terra natia, recuperai mantello ed arma, dandomi anche una veloce sistemata ai capelli, acconciati in una stretta treccia che cingeva per intero il mio capo. Ci tenevo a presentarmi al meglio, dopotutto mi era stato dato un incarico di grande fiducia ed il Maestro non era tipo da tollerare fallimenti. Era come un padre per me, mi aveva accolta nell’Ordine, addestrata, iniziata ai suoi segreti. Ma era anche la personalità templare più influente del continente, perciò non era certo mai un bene irritarlo.
Volevo che mi giudicassero degna del mio incarico sotto ogni aspetto. Era molto inusuale che una donna salisse ad un rango come il mio, ed i pettegolezzi e le malelingue non davano tregua in quel senso, ma il Maestro aveva riconosciuto in me il talento e la dedizione necessaria servirlo e l’avrei fatto con onore.
La grande croce patente ricamata sul mio mantello chiaro ne era il segno e la portavo con orgoglio e rispetto.
Salii in coperta, recandomi verso la prua della nave, per godere della vista della città.
Il porto di Acri si stagliava contro il cielo, con le miriadi di alberi maestri a saettare verso l’alto. Navi di ogni genere lo popolavano, portando merci e uomini in quello che era un crocevia fondamentale in quel tratto di mare. La sua architettura rifletteva il potere europeo che la governava ed i crociati che la difendevano. Alte torri si innalzavano, sovrastate, tra tutte, dalla possente mole della Cattedrale, il tutto costruito nella salda architettura del continente, i grigi mattoni che sporgevano fieramente dai muri, quasi a voler confermare la loro fermezza. Non aveva nulla a che vedere con le altre città della zona, in mano ai seguaci di Salah al-Din.
Ma non era per ammirare l’architettura che ero giunta sin lì.
La nave attraccò al porto, iniziando a scaricare le proprie merci e passeggeri con vivacità, mentre io scesi sulla banchina lignea, cercando con lo sguardo coloro che avrebbero dovuto accogliermi.
Poi li vidi. Facendosi largo tra la folla di marinai e mercanti, due Cavalieri Templari, vestiti della consueta tunica bianca su cui campeggiava una rossa croce, avanzavano verso l’attracco, gli elmi scintillanti al sole, lunghi spadoni al fianco.
Con un lieve sorriso, mi diressi rapidamente verso di loro, abbandonando il vociare della plebe indaffarata.
Appena fui dinanzi a loro, si inchiarono in segno di rispetto e mi fecero cenno di seguirli. Con loro al fianco, sarei giunta alla guarnigione senza intoppi. Da sola, avrei forse potuto correre qualche rischio.
Non mi sentivo comunque sicura e non smisi di guardarmi furtivamente intorno per l’intero tragitto. Tra i mercanti, nei vicoli, persino sui tetti, ovunue controllavo ed osservavo cosa accadeva.
Mi avevano messa in guardia da lui, e non intendevo certo rischiare prematuramente la vita per colpa di quell’eretico.
Le guardie all’ingresso ci lasciarono il passo ed io fui condotta verso gli edifici residenziali della roccaforte, dove mi fu permesso di riprendermi dal viaggio e rinfrescarmi, assistita da una servizievole ancella.
Lasciata sola, nella mia piccola, ma confortevole stanza, riflettevo. L’incremento delle nostre forze il quella zona, da parte delle alte gerarchie, era stato tanto repentino quanto la scomparsa di alcuni dei nostri migliori agenti.
Sapevamo benissimo a chi andava imputata la colpa.
L’antico nemico aveva trovato una mano armata particolarmente abile e dedita al suo compito. L’attacco al suo covo non aveva sortito l’effetto sperato e, anzi, le perdite erano state ingenti e la disfatta bruciante.
Imperdonabile.
Certo, la strategia d’attacco non era stata delle più sagge. Troppo audace, troppo frontale e fiduciosa delle nostre forze. Il nemico era stato ampiamente sottovalutato.
Ma d’altronde, piani sottili e sotterfugi mal albergavano nella mente degli uomini, quanto invece amavano trastullarsi in quella delle dame. Forse la mia presenza lì sarebbe servita anche a questo.
Il mio Signore non mi avrebbe ricevuta che a cena, perciò la mia mente potè vagare a lungo, analizzando, ripensando, congeniando...la situazione era precaria e mi si chiedeva di contribuire ad uscire da quello stallo. In che modo, tuttavia, ancora lo ignoravo.
Tutto ciò che mi era stato ordinato era di recarmi ad Acri e proteggere il Gran Maestro, collaborando con lui ed obbedendo ai suoi ordini. Tuttavia, sembrava che, più che come un sottoposto, fosse intenzionato a trattarmi al suo stesso livello. Mi aveva assegnato delle stanze private, persino un’ancella e quella sera avremmo conversato allo stesso tavolo, da pari.
Mi sembrava un ottimo inizio, tuttavia ero divisa tra la riconoscenza e la diffidenza.
Un lieve bussare alla porta mi riscosse dai miei pensieri.
“Avanti.”
Era la mia ancella.
“Mia Signora, ho avuto ordine di accompagnarvi dal mio padrone. La cena è servita.”
Annuii, sistemandomi il modesto, ma grazioso vestito azzurro che mi era stato gentilmente messo a disposizione. Non era certo paragonabile agli abiti che ero solita indossare ai balli della mia patria, ma era comunque di grande finezza. Apprezzavo particolarmente i ricami argentati sugli orli.
Seguii la giovane attreverso gli angusti spazi della guarnigione, adatti alla sua funzione militare, fino ad una porta in legno lievemente lavorata, attraverso cui fui introdotta nella sala da pranzo.
Un lungo tavolo campeggiava al centro della sala, colmo di ogni bontà ed illuminato da eleganti candelieri, un capo già occupato dall’uomo per cui ero giunta sin lì.
Mi inchinai, in segno di saluto e rispetto.
“Roberto di Sable. È un onore essere al vostro cospetto.”
L’uomo si alzò dal tavolo ricambiando il saluto.
“Maria Thorpe, è un piacere avervi qui quanto lo è lo stupore. Prego, sedete.”
Presi posto al tavolo, immediatamente servita da un cameriere, che si prodigò nel riempire il mio piatto, quanto il mio bicchiere.
“Sono spiacente di non potervi offrire di più, temo dovrete accontentarvi di ciò che una roccaforte militare può offrire.”
“Scoprirete, mio Signore, che vi sono dame molto più a proprio agio nelle piazzeforti che tra i merletti.”
Risposi di rimando.
Era bene che comprendesse subito con che tipo di donna avesse a che fare.
Quest’ultima affermazione dovette divertirlo particolarmente, perchè non riuscì del tutto a trattenere il riso.
Sorrisi, soddisfatta.
“Comincio a comprendere perchè abbiano mandato voi. Ma deliziamoci prima il palato con la cena, una volta terminata converseremo.”
Annuii, sperando che il pasto fosse veloce. Ero impaziente di venire a conoscenza del mio ruolo nella situazione e desideravo venire messa parte dei dettagli quanto prima.
La cena, tuttavia, si rivelò molto piacevole. Il cibo ed il vino erano di buona qualità e Roberto, come desiderava lo chiamassi, senza inutili cerimonie, si dimostrò un interlocutore affabile. Quando i servi rimossero le ultime portate dal tavolo, compresi che era giunta l’ora di conversare di faccende più serie.
“Spero che la cena sia stata di vostro gradimento.”
“Così è stato, vi ringrazio.”
“Ne sono lieto. Ora, tuttavia, è tempo di parlare di questioni meno felici.”

Lo supponevo.
“Pochi giorni fa, Sibrando è stato ucciso al porto.”
“Il Gran Maestro dei Teutonici?”

Non conoscevo quell’uomo se non di fama, ma mi era sempre parso un cavaliere dedito alla causa e fermo nelle sue posizioni, nonchè, così si diceva, un grande guerriero. Se uomini come lui potevano essere annientati in modo così semplice, urgeva un rimedio al più presto.
Portai una mano al mento, assorta.
“E’ stato lui, dico bene?”
“Si, ne siamo certi. I nostri uomini l’hanno inseguito per un considerevole tratto, prima di perdere definitivamente le sue tracce.”
“Si nasconde nell’ombra, come sempre...”

Già, ma le ombre sono le più difficili da catturare.
“Ha ormai eliminato tutti i nostri uomini ad Acri, Damasco, persino Gerusalemme ed ora minaccia la mia stessa vita. Non vi sono altre pedine cui dare scacco eccetto la mia persona, è evidente che mi cercherà...anche se non dovrebbe, maledizione.”
Non capivo e dovette leggerlo nel mio sguardo dubbioso.
“Temo che il nostro alleato all’interno della Confraternita, colui che avrebbe dovuto custodire per noi il manufatto, abbia intrapreso una strada propria e divergente dalla nostra. Perciò, ora che la sua lealtà non è più così certa, non ho la sicurezza che possa impedire che il mio nome finisca sulla lista del suo tramite. Abbiamo già perso molti uomini, sacrificabili e sostituibili, certo, ma comunque fidi alleati e non possiamo agire direttamente contro la nostra spia, finchè il Frutto resta nelle sue mani. La sua potenza gli concede un vantaggio che non possiamo colmare.”
Tutto cominciava ad acquisire un senso. Tuttavia, ancora non comprendevo appieno il senso della mia presenza. Dovevo davvero solo proteggere Roberto dall’Assassino? Sarebbe, forse, bastata una nutrita scorta di Cavalieri allo scopo...
“Perdonate la domanda, forse sfrontata, ma...io in cosa posso servirvi, esattamente, che qualsiasi altro Templare, anche di rango inferiore, non possa compiere?”
Si alzò in piedi, cominciando a misurare la stanza a grandi passi.
“Voi, Maria, siete assunta in fretta ai ranghi tra i più alti del nostro Ordine e questo, ai miei occhi, è indice di una mente arguta e di una fedeltà ferrea. Proprio ciò che mi occorre in quest’ora così rischiosa.”
“Spiegatevi meglio, prego.”
Annuì.
“Come ben saprete, l’esercito crociato si appresta ora a metter campo ad Arsuf, non lontano dallo stanziamento di Salah al-Din. Ho ragione di credere che uno scontro campale sia imminente, Riccardo d’Inghilterra è un uomo d’onore ed un grande combattente, dubito perderà questa occasione.”
“E questo come potrebbe riguardaci?”

Sorrise sornione. Aveva in mente un piano ben congegnato, dunque.
“L’umanità non impara mai da sé stessa, essa va guidata, privata dell’arbitrio perché possa essere realmente libera.”
Certo, quello era ciò che l’Ordine mi aveva sempre insegnato, una legge ferrea che condividevo appieno. Ero cresciuta con quel dogma, non l’avrei mai messo in discussione.
“Ho quindi intenzione” continuò, “di recarmi ad Arsuf e prendere accordi con entrambi gli schieramenti, così da poter creare una pace che ci permetterà di controllare lo sviluppo di queste culture, preservandole dagli errori futuri e dal cancro rappresentato dagli Assassini.”
Un piano eccellente, dovetti ammetterlo, tuttavia c’era un particolare che non era stato preso in considerazione.
“Permettetemi, Roberto, ma temo abbiate dimenticato una questione importante.”
Sperai non si offendesse per la mia sfacciataggine.
“Dite.”
“Perché il vostro piano possa riuscire, è vitale che vi rechiate ad Arsuf quanto prima, se non erro.”
Annuì, compiaciuto nel constatare di aver ricevuto un aiuto efficace ed acuto.
“Tuttavia, in quanto vetta del nostro Ordine, ci si aspetterà la vostra presenza ai funerali di Sibrando, uomo di rango templare piuttosto elevato. Permettetevi di farvi notare che, se come è uso, essi si terranno nei prossimi giorni, anche se si svolgessero ad Acri stessa, del che io dubito, voi sareste comunque costretto a perdere tempo prezioso, che i due schieramenti potrebbero sfruttare per una battaglia campale, vanificando i vostri propositi.”
Sembrò colpito dal mio ragionamento, ma sperai non avesse ritenuto inopportuno il mio intervento. Dopotutto, stavo conversando col Gran Maestro ed era lui, con la sua massima autorità, ad avere l’ultima parola in ogni campo.
“Sono compiaciuto nel trovare in voi una mente arguta, Maria.”
Chinai il capo, con deferenza, accettando il complimento concessomi.
“Il funerale si terrà fra tre giorni esatti, come supponete giustamente, e sarà nella Città Santa di Gerusalemme. La mia presenza, come avete chiaramente notato, è attesa, tuttavia io non potrò presenziarvi, proprio per i motivi che avete così lucidamente esposto.”
Mi appagava non poco che avesse tenuto conto delle mie parole, ancor più che le avesse approvate, tuttavia la questione non era ancora risolta.
“Mio Signore, nessuno a parte l’Onnipotente ha la facoltà di essere presente in due luoghi contemporaneamente, come contate di attendere i vostri obblighi?”
“Semplicemente, inviando altri al funerale, al posto mio.”
Cosa? Intendeva travestire uno dei soldati e mandarlo al suo posto? Un piano arguto, dovevo ammetterlo, tuttavia…
“Voi presenzierete al funerale del compianto Sibrando in mia vece. Vi accompagnerà la mia guardia personale, per non destare sospetti, e riceverete una delle mie armature. Con l’elmo indosso nessuno vi riconoscerà e non occorre che parliate. Inoltre, sono pochi quelli che mi hanno incontrato personalmente più di una volta, tra coloro che saranno presenti.”
“Mio Signore, non c’è il rischio che l’Assassino venga a sapere della “vostra” presenza in città?”
“E’ proprio ciò che voglio. Perdonatemi fin d’ora se vi uso brutalmente come esca, ma se l’Assassino si concentrerà su di voi, credendovi me, io potrò agire indisturbato, ben lungi dalla sua lama.”
“Che sarà invece ben vicina alla mia gola!”

Non era mia intenzione alzare la voce, ma non avevo compiuto un viaggio simile unicamente per essere immolata al posto del Gran Maestro. Certo, dare la vita per il nostro sommo capo era un onore, ma non ero incline ad accettare quel bieco inganno. Avrebbero dovuto porre le carte in tavola fin da subito, maledizione!
“Non offendetevi, Maria, non ho scelto voi senza un motivo.”
Sperai che ne avesse uno, e che fosse valido. Lentamente mi alzai in piedi, incrociando le braccia sul petto, infastidita.
“Mi è stato detto che siete una delle migliori spade dell’Ordine, malgrado siate una donna. Dicono il vero le voci?”
“Sono particolarmente avvezza all’arte della spada, mio Signore, si.”

Ero un’abile spadaccina, lo dovevo ammettere, ma la vanità era un’arte che non avevo mai praticato, perciò risposi in modo vago. Le voci, in ogni caso, ben parlavano al posto mio.
“Proprio per questo ho scelto voi. Esigo che, nel momento in cui l’Assassino vi troverà, non fuggiate…”
“Mio Signore, ma…!”

Alzò una mano, zittendomi all’istante.
Non avevo il potere né il diritto di contrastare il suo volere, nemmeno se mi avesse ordinato di trafiggermi, lì e in quel momento. Potevo solo obbedire.
“…ma facciate tutto ciò che è in vostro potere per eliminarlo definitivamente. In breve, desiderò che lo uccidiate.”
Rimasi basita. Era un incarico difficoltoso, avrei rischiato certamente la vita, ma l’onore di contribuire alla causa templare eliminando quel parassita nocivo valeva bene quel rischio. Ora che avevo un preciso obiettivo, avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per portarlo a termine.
“Come desiderate.” Risposi, inchinandomi.
“Molto bene, sapevo di poter contare su di un valido alleato. Domattina partirete per Gerusalemme con una delle mie guardie personali, il resto della guardia vi attenderà nella mia abitazione di Gerusalemme.”
Si avvicinò, posandomi una mano su una spalla, come se si stesse rivolgendo ad un vecchio commilitone. Era un trattamento d’uguaglianza che mi onorava, ma che non riuscì del tutto a farmi dimenticare che, forse, mi stava mandando tranquillamente verso la morte.
“Siate cauta.”
Annuii, per poi inchinarmi e uscire dalla stanza, diretta alla mia camera.
Mentre la mia ancella pettinava con cura i miei lunghi capelli neri, non potei fare a meno di pensare che, molto probabilmente, stavo vivendo gli ultimi tumultuosi giorni della mia esistenza…
 
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