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Destiny, Assassin's Creed fan-fiction

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\\ Kanda //
view post Posted on 16/3/2013, 12:57 by: \\ Kanda //     +1   -1




Eccomi con un nuovo aggiornamento!
Probabilmente mi odierete ora della fine del capitolo perchè rispetto agli altri è...lunghissimo D:
Chiedo scusa fin d'ora, ma non sono riuscita a fermarmi.
Come sempre ecco il link di EFP dove pèotrete recensire, se vi va =) --> EFP
Buona Lettura!!!!


Sequence IV

Beginning



Uno ad uno gli avventori del locale lasciavano i loro posti, tornando alle proprie case, chi solo, com’era arrivato, chi in piacevole compagnia, soddisfatto per la buona riuscita della serata. Io, invece, ero ancora seduta al mio tavolo, i nervi che minacciavano di scappare per l’agonia cui li stavo sottoponendo.
Il bar era ormai quasi completamente svuotato, ma sapevo bene che Desmond non avrebbe potuto lasciare il suo posto fin quando anche l’ultimo cliente non fosse uscito dalla porta. Poi avrebbe dovuto occuparsi della sistemazione del bancone, della pulizia dei tavoli ed altro ancora. Sperai vivamente che gli sarebbe stato permesso di esentarsi da queste ultime incombenze, o avrei passato la notte lì.
Lo vedevo, appoggiato al bancone, tamburellare nervosamente con le dita sulla lucida superficie nera, lo sguardo falsamente calmo. Potevo solo lontanamente immaginare il turbinio di pensieri che stavano affollando la sua mente.
Sul lato sinistro del viso, l’alone rosso che gli avevo procurato non era ancora scomparso del tutto. Sorrisi.
Davvero un bel colpo, non c’è che dire.
Tuttavia non ne era affatto pentita. Se l’era meritato.
Un’altra volta avrebbe soppesato con più cura le parole e compreso meglio chi si trovasse di fronte. Da me non aveva nulla da temere, detestavo ammetterlo, ma non sarei mai stata in grado di fargli intenzionalmente del male, nemmeno sotto minaccia di tortura.
Quello era un lato del mio carattere che detestavo e avrei volentieri soppresso, se solo avessi potuto…
Sospirai.
La situazione non migliorava, ero ancora bloccata lì.
Soppesai l’idea di andarmene al campus per conto mio, ma avevo la netta sensazione che Desmond avrebbe potuto legarmi ad una sedia, piuttosto che permettermi di farlo, perciò accantonai l’ipotesi.
Per ingannare il tempo, mi diressi per l’ennesima volta al bagno, a darmi una rinfrescata.
Aprii il rubinetto dell’acqua e lasciai che scorresse lungo i miei polsi, rigenerandomi. Gran seccatura la pressione bassa.
Evitai che la mia mente vagasse sull’allarmante situazione in cui mi trovavo, avevo bisogno di calmarmi, riordinare le mie confuse idee. Non sapendo su cos’altro concentrare i miei pensieri, caddi inevitabilmente nel ricordo degli ultimi due giorni.
Non riuscivo più a comprendere quel ragazzo.
Forse, non l’avevo mai compreso del tutto.
L’istinto, sognatore ed infantile, continuava a sussurrarmi dolci melodie. Forse Desmond si era accorto del mio cambiamento d’atteggiamento nei suoi confronti e, sempre ipoteticamente, si era reso conto di provare le stesse emozioni. Ecco spiegato il suo comportamento degli ultimi giorni, primo fra tutti il suo “scherzetto” al parco, quella stessa mattina. Stormi di farfalle cominciarono a volteggiare nel mio stomaco al solo pensiero.
Sarebbe stato perfetto.
Ma la ragione, fredda e calcolatrice, temprata dalle troppe delusioni, mi metteva in guardia. Se fosse stato solo un interesse momentaneo? Dopotutto, avevo sempre notato quale fosse la qualità di ragazze che gli girava attorno, al locale, perfette, sempre ben truccate, con chiome fluenti e vestiti firmati. D’accordo, lui non aveva mai dato loro corda, ma, dopotutto, chi mai potrebbe farlo sul posto di lavoro? Non significava nulla.
Ed io non ero nemmeno lontanamente paragonabile a quel tipo di donna.
Alzai gli occhi, guardando stancamente la mia immagine, riflessa nello specchio sopra al lavandino. Non avevo alcuno sguardo magnetico, solo due occhi ordinari, di un bell’azzurro, certo, ma senza nessuna particolarità. I capelli, poi, non avrebbero potuto essere più anonimi…neri, lunghi, tutti completamente lisci e della stessa precisa lunghezza, eccezion fatta per la lunga frangia. Una mia vecchia professoressa mi paragonava spesso ad un’egiziana, per via della mia pettinatura, ma di quell’etnia non avevo proprio nulla, a partire dalla carnagione, concorrenziale coi migliori latticini in circolazione.
In quanto a fisico, poi, l’autocritica si sprecava. La vita sportiva rendeva tonici, ma di certo non magri e quello era un assunto scientifico che su di me avrebbe potuto trovare la più completa conferma.
Inoltre, non ero il tipo di ragazza che passava le ore davanti allo specchio, imbellettandosi. Oltre ad un velo di trucco attorno agli occhi, giusto per far notare che esistevano, ed un’idea di correttore, se necessario, non andavo.
Ogni volta che mi soffermavo sul mio aspetto fisico mi deprimevo.
Almeno, però, avevo raggiunto il mio obiettivo. Impegnare il mio cervello in qualcos’altro.
Inoltre la mia veloce autoanalisi aveva chiarito anche un altro problema. Di certo un ragazzo come Desmond non si sarebbe mai messo a perdere il suo tempo con una come la sottoscritta, il che avvalorava di gran lunga la tesi proposta dalla ragione.
Tempo una settimana, un mese ad essere ottimisti, e tutto sarebbe tornato all’origine.
Mi voltai, appoggiandomi al lavandino e passandomi le mani sul volto, sconfortata. La mia vita andava a rotoli, era come se, oltre allo studio, non mi fosse stato concesso di gioire del successo in nessun altro campo.
Una maledizione.
“Sei lì?”
Sobbalzai. Ero così impegnata a deprimermi che non mi ero resa conto del tempo trascorso. Desmond doveva essersi chiesto che fine avessi fatto.
“Si, eccomi.” Gli risposi, uscendo.
Aveva già infilato il suo giubbotto nero di pelle e teneva il casco della moto sottobraccio, pronto per andare. I miei buoni propositi di non farmi coinvolgere vacillarono prepotentemente nel notare quanto quella giacca gli stesse dannatamente bene.
Stavo per seguirlo, quando mi resi conto che, nella fretta di raggiungerlo, quel pomeriggio, ero uscita in felpa, approfittando del caldo, tuttavia dubitavo seriamente che la temperatura, di notte, potesse definirsi mite. A cavallo di una moto, poi…
“Ehm…andiamo con la tua moto?” chiesi titubante, non volendo rendere palese la mia sbadataggine.
“Si, faremo più in fretta.” Poi si bloccò, alzando un sopracciglio, dubbioso. “Qualcosa non va?”
“Sono senza giacca.” Ammisi, sentendomi istantaneamente un’idiota. Dove diamine avevo avuto la testa quel pomeriggio?
Una vocina nel mio cervello mi sventolò la risposta sotto il naso. La zittii con cattiveria.
“Perciò…se potessimo andare a piedi. Così eviterei di congelare.”
Sorrise divertito, scuotendo il capo.
“Tutto qui il problema?”
Ecco, ora si prendeva pure gioco di me. In quei momenti mi sentivo un’adolescente ipertesa alle prese con le prime tempeste ormonali. Dannazione.
“Tieni.” Mi disse, tranquillo, sfilandosi la sua giacca e porgendomela.
“Ne avrai un’altra, spero.” Dissi, esitando nell’accettare il suo gesto di cavalleria. Non avevo intenzione di sentirmi in colpa per le due settimane successive, causa di una polmonite che, certamente, si sarebbe procurato, andando in moto in felpa.
“No, ma non preoccuparti, non fa così freddo.”
Ecco, appunto.
“Non se ne parla, non ho nessuna intenzione di averti sulla coscienza. Ti prenderai un accidente!”
Ridacchiò, avvicinandosi.
“Beh,” iniziò, posandomi la giacca sulle spalle, “se prometti di venire a prenderti cura di me, mi potrei anche ammalare volentieri...”
Avvampai, come da copione, abbassando gli occhi.
Ultimamente sostenere il suo sguardo stava diventando sempre più difficile.
“Te lo puoi scordare...” dissi, ma credo che il mio tono fosse risultato molto poco convinto perchè quel dannato ragazzino trattenne a stento la sua ilarità.
Fulminea sgattaiolai lontano dal suo campo d’azione, uscendo dal locale. L’aria era davvero frizzante, il che mi fece montare su tutte le furie. Detestavo sentirmi di peso e Desmond, che ne fosse conscio o meno, stava riuscendo brillantemente in quell’intento.
La lieve brezza non era ancora poi molto primaverile a quell’ora, perciò infilai la giacca di Desmond, decisamente troppo grande per la mia taglia. Le spalle mi cascavano lungo le braccia ed il fondo mi arrivava quasi sopra alle ginocchia. Dovevo sembrare parecchio ridicola.
Però era calda, piacevole e profumava di...lui.
Immediatamente la mia mente venne trsaportata a quell’abbraccio...lo stesso calore...lo stesso profumo...
“Sarà meglio che ti metta questo.”
Istantaneamente tornai alla realtà.
La mia mente aveva preso la pessima abitudine di scollegarsi da mondo reale un po’ troppo spesso per i miei gusti.
Afferrai il casco integrale che mi porgeva e lo infilai, trafficando parecchio con la chiusura, prima di riuscire ad averne ragione, con suo gran mal celato divertimento.
Mi immaginai, vestita di un giubbotto troppo grande e con la testa in forma di una grossa boccia da bowling nera e lucida...mi veniva quasi da ridere. Se avessi immortalato il momento con una foto, di certo ne avrei riso per il resto dei miei giorni.
La moto di Desmond era lì davanti a noi. L’avevo vista molte volte, ma mai mi era venuta l’insana idea di salirci sopra.
Beninteso, non avevo nulla contro le due ruote, anzi, tuttavia avevo visto un paio di volte la velocità cui quel mezzo poteva giungere, se guidato dal pazzo scriteriato che in quel momento stava affianco a me.
Era una moto sportiva, ma era comunque omologata per due, in caso di necessità, perciò presi posto senza difficoltà dietro Desmond. Poi realizzai che non avevo alcun appiglio cui affidare la mia esistenza durante quella che, ne ero certa, sarebbe stata la folle corsa di uno sbruffone.
Cercai invano ai lati del sellino un intercapedine o una qualche sorta di maniglia che servisse allo scopo, ero certa di averne viste su qualche scooter.
“Ehm, Desmond...non c’è niente cui aggrapparsi qua dietro.”
Voltò il casco verso di me. Anche attraverso il vetro potevo scorgere i suoi intensi occhi dorati. La voce mi arrivò lievemente metallica, mediata dal casco.
“Certo che no.” Rispose, ridacchiando come se avessi appena detto la più grande stupidata del mondo. “Mica è uno scooter. Le moto di questa cilindrata non hanno quel tipo di optional.”
Il problema restava e, disgraziatamente, cominciava a prospettarmisi l’ovvia soluzione.
“Scusa, io dove diamine mi aggrappo?”
Domanda retorica, già sapevo quale sarebbe stata la risposta.
I suoi occhi sorrisero.
“A me.”
Infatti.
Si voltò, accendendo il motore, che prese vita con un rombo assordante, esibendo tutta la sua considerevole cilindrata.
Titubante, afferrai la felpa di Desmond in vita, sperando che fosse sufficiente per tenermi in sella. Lo udii distintamente sbuffare, ma non feci in tempo a domandarmene il motivo, perchè ogni angolo di me stessa venne impegnato nell’immane sforzo di non cadere, nel momento in cui il mezzo fece una fin troppo rapida accelerata. Istintivamente, mi aggrappai a lui con tutte le mie forze, mentre, un attimo dopo, la moto prese a rallentare, mantenendo un’andatura sempre decisamente veloce per i miei gusti, ma senza dubbio più controllata.
“Così va meglio.” Lo sentii bisbigliare.
Quell’infame...era tutto un trucco.
Avrei voluto picchiarlo, ma ne sarebbe andata della mia vita, perciò mi limitai a tirargli un ben assestato pizzicotto su un fianco.
“Ahi! Ma che..!”
“Taci e guida! Così impari a fare il furbo.”

Non replicò, ma sentii la sua schiena sobbalzare lievemente.
Rideva di me quel maledetto!
Imbronciata, evitai di continuare l’infruttuosa discussione e mi rassegnai all’evidenza.
Ero ormai abbastanza certa che quel dannato ragazzino si fosse accorto di ogni millimetro di film mentale che vagava nel mio cervello, perciò non avrei dovuto stupirmi per i suoi continui giochetti degli ultimi giorni.
Ma allora perchè mi sentivo così a disagio?
La risposta era semplice. Paura.
Paura di non essere ricambiata, paura che si stesse semplicemente prendendo gioco di me, paura di vederlo felice con qualcun’altra...semplice e pura paura.
Forse era un sentimento stupido e mi stavo fasciando la testa per nulla, ma come esserne poi così sicura?
Ora ero lì, potevo abbracciarlo, stringerlo a me...ma quanto sarebbe durata? Solo l’infimo tempo di una corsa in moto.
Mi rendevo tuttavia anche conto che, probabilmente, le mie continue recriminazioni ed esitazioni mi stavano allontanando da una possibilità. Dopotutto, nessuno avrebbe mai potuto o saputo dirmi come sarebbe andata a finire, ammesso che fosse cominciata, questa situazione. Magari, la questione avrebbe anche potuto risolversi per il meglio.
In quel caso, ero davvero così ostinata da non dare nemmeno una possibilità al mio infame destino?
Poi, c’era quell’uomo, quel Templare, come l’aveva chiamato Desmond. Se davvero gli stava dando la caccia, non sapevo quanto tempo ancora avrei potuto trascorrere con lui. Forse sarebbe dovuto fuggire, o nascondersi...ed io, allora, non avrei più avuto nulla cui aggrapparmi, nemmeno un misero ricordo...
A volte il cervello va mandato in vacanza forzata.
Mi stavo perdendo in pensieri ed elucubrazioni che mi stavano facendo perdere di vista ciò che era veramente fondamentale per me in quel momento. Io desideravo solamente passare quanto più tempo possibile con lui e, per quanto mi costasse ammeterlo, nessun ragionamento razionale e logico sarebbe mai riuscito a cancellare questa pressante e fastidiosa sensazione di bisogno.
Perciò, al diavolo i ragionamenti.
Per la prima volta dopo molto tempo, avrei soppresso i miei iperattivi neuroni.
Feci ciò di cui sentivo il bisogno in quel momento.
Facendo scivolare le mie braccia, rafforzai la presa, cingendolo completamente e aderendo alla sua schiena. Il mio cuore batteva all’impazzata a stargli così vicino ed ero perfettamente conscia che se ne sarebbe potuto tranquillamente accorgere, ma non m’importava minimamente. Con un braccio gli circondai la vita, con l’altro il petto, la mia mano sul suo cuore che, notai, era piuttosto ballerino in quel momento.
Sorrisi tra me e me a quella considerazione.
Vittoria.
Lo sentii irrigidirsi lievemente, per poi rilassarsi subito dopo. Per una volta, ero stata io a coglierlo di sorpresa e ne ero piuttosto soddisfatta.
Ringraziai mentalmente la situazione, tuttavia. Non doverlo guardare negli occhi rendeva tutto più semplice, ogniqualvolta il suo sguardo incrociava il mio non ero più in grado di pensare con totale lucidità e, come risultato, scappavo.
“Ehm...Cri, potrei iniziare a guidare un po’ peggio a causa tua...”
L’avevo messo in difficoltà, eccome. Avrei pagato lautamente per poter vedere la sua faccia in quel momento...ma forse non sarebbe poi stata una buona idea.
In qualche modo, comunque, dovevo ribattere, così decisi di non scoprire le mie carte. Dopotutto, una considerevole dose di fifa, mista ad imbarazzo, ancora persisteva.
“Non cominciare a farti strane idee. Semplicemente, non voglio che tu muoia di freddo.”
Come no.
Avrei anche potuto spremere meglio le meningi ed inventarmi una panzana migliore di quella, in effetti.
“Ah, questo credo si possa escludere...”
Effettivamente, sommando la mia temperatura corporea alla sua, avremmo potuto benissimo superare le vette di calore registrabili su una duna del Sahara alle due del pomeriggio. La situazione mi sarebbe potuta sfuggire di mano.
Arrivata in camera mi sarei fatta una doccia fredda, ghiacciata, polare addirittura. Ne avevo un gran bisogno.
Appoggiai la testa sulla sua spalla e rimasi immobile, fissa in quel momento perfetto.
Avevo sperato che quel viaggio durasse a lungo, ma, ne ero conscia, il campus non era poi così lontano. Così, dopo pochi minuti, arrivammo a destinazione ed io dovetti mollare la presa.
Fermò la moto proprio davanti al pesante cancello in ferro battuto dell’entrata. Da lì un lungo viale di ghiaia percorreva rettilineo i curati prati del complesso, dipartendosi in tanti vicoli e vie tante quante erano le strutture di quell’immensa università. I dormitori femminili erano dall’altra parte del complesso, naturalmente.
L’idea di dovermi separare da Desmond mi dava un’insana ed immotivata sensazione di perdita, come se fossi legata a lui da un filo così resistente che spezzarlo avrebbe richiesto un’immane e sovrumana fatica.
Così non andava, per niente.
Scesi dalla moto e gli restituii il casco, slacciando la giacca, per restituirgliela, quando mi fermò.
“Tienila, me la ridarai una volta arrivata al dormitorio.“
“Se ti piace congelare...”

Dissi, acida, come ogni volta che mi trovavo costretta a fissare il suo sguardo. Ero aggressiva per difesa, una cosa davvero stupida ed infantile.
Mi avviai per il viale, decisa a raggiungere in fretta la mia camera, ma dopo pochi passi Desmond mi affiancò, tenendo senza difficoltà il mio passo, cingendomi le spalle con un braccio e tirandomi a sè.
Parità.
Stavolta era lui ad avermi presa alla sprovvista.
“Beh?”mi rivolsi a lui, chiedendo spiegazioni per quel gesto.
“Sto evitando di congelare, contenta?” mi rispose, sorridendo, senza smettere di guardare di fronte a sè.
Mi stava facendo impazzire.
Il mio Io irrazionale stava cominciando a pensare cose che normalmente non sfioravano il mio cervello nemmeno di striscio.
Concentrai l’unico neurone superstite sul pensiero dell’imminente doccia glaciale.
Metà dell’esserino in questione, tuttavia, doveva essere partito per la tangente, poichè, senza quasi rendermene conto, risposi esitante al suo gesto, circondandogli la vita col braccio.
Mi strinse ancor di più verso di sè.
Il dormitorio si avvicinava lentamente, troppo per quanto mi riguardava. Le luci erano ormai tutte spente, eccezion fatta per qualche lumicino che ancora si intravedeva, segno di qualche studentessa stacanovista che ancora stava studiando. Pazza, chiunque essa fosse.
I prati erano silenziosi, i fili d’erba mossi dalla lieve brezza e, sopra di noi, la luna vegliava il limpido cielo trapunto delle poche stelle visibili. I rumori della città giungevano attutiti e lievi, segno che anche la vita notturna stava volgendo al termine.
In un’altra situazione, quello scenario mi sarebbe apparso fin troppo romantico, ma il tarlo della preoccupazione continuava a rodermi e non potei apprezzare appieno quell’atmosfera.
Passeggiando con calma, arrivammo in vista del dormitorio.
Qualcosa davanti a noi, mi fece arrestare, tirando la felpa di Desmond perchè facesse lo stesso. Davanti all’ingresso del complesso c’era una berlina scura, dai vertri neri come la notte...e da cui era appena uscito il padre di Catherine.
“Mettiti il cappuccio, subito.”
Obbedii senza nemmeno chiedere spiegazioni, colpita dal tono autoritario della voce del mio amico. Estrassi dalla giacca l’ampio cappuccio della mia felpa blu e me lo calai sulla testa.
“Perchè?” chiesi, preoccupata e in ansia.
“Non devono riconoscerti, è me che vogliono.”
Cominciavo a capire. Se fossi stata riconoscibile, avrei dovuto abbandonare la città a causa sua, mi avrebbero associata immediatamente a lui e, qualunque fosse il motivo di tale interesse verso Desmond, io sarei di certo stata in pericolo.
Non voleva mettermi in mezzo...solo che, probabilmente, era troppo tardi.
Il “crociato” si accorse della nostra presenza, e fece un cenno nella nostra direzione. Istantaneamente mi voltai, vedendo un gruppetto di uomini in tenute d’assalto nere, correre verso di noi, armati.
Eravamo in trappola.
Agii d’istinto.
“Attraverso il prato, svelto!”
Spinsi Desmond verso la direzione indicata e cominciammo a correre. Non ci volle molto perchè mi staccasse considerevolmente. Era molto più veloce di me, l’avrei solo rallentato.
Le gambe mi bruciavano per lo sforza di tenergli dietro e compresi che non sarei riuscita a farlo.
“Continua a correre, li tratterrò.”
Rallentavo, senza nemmeno volerlo. Ero al limite.
Mi fermai, piegata sulle ginocchia, ansimando. I polmoni mi bruciavano a tal punto che uno spiacevole sapore ferroso mi invase la bocca. Sentivo il vocio degli inseguitori avvicinarsi. Di certo non avrei mai potuto fermarli, ma almeno li avrei rallentati quel tanto che sarebbe bastato per lasciare a Desmond il tempo di fuggire.
In quel momento realizzai che, forse, non l’avrei più rivisto.
Senza che lo volessi, lacrime iniziarono a rigarmi il volto. Rabbia, tristezza, afflizione, ingiustizia, tutti sentimenti che sentivo bruciare in me. La vita era crudele.
“Non ci pensare neanche.”
Alzai gli occhi e vidi Desmond prendermi per un polso e trascinarmi via, di corsa.
“Idiota, ti rallenterò e basta!”
“Chiudi quella bocca e corri, maledizione!”

Non avevo la forza di ribattere.
Era uno stupido, stava abbandonando una certa possibilità di fuga per trascinarsi dietro me, che altro non rappresentavo che zavorra per lui. Perchè stava facendo questo?
Se l’avesseo catturato, non me lo sarei mai perdonata.
Arrivammo alla cancellata di confine. Desmond spiccò un balzo e, aggrappandosi alle punte acuminate sommitali, si issò dall’altra parte, non prima di essersi tirato dietro anche me. Ringraziai mentalmente le misere ma fruttuose ore trascorse nella parete d’arrampicata del campus. Senonaltro, mi avevano evitato di rompermi l’osso del collo.
Una volta in strada, la nostra corsa non si fermò, impelagandosi nei più stretti ed inaccessibili vicoli. Ero tremendamente sudata, i polmoni mi bruciavano ad ogni respiro ed il cuore stava scoppiando per lo sforzo. Anche Desmond stava iniziando a dare segni di cedimento, nonostante mi fossi stupita della sua atleticità e resistenza fisica. Che razza di allenamento faceva?!
Attraverso le scale antincendio, giungemmo sulla terrazza di un piccolo edificio di cinque o sei piani, non ero riuscita a contarli mentre salivo. Ero totalmente spaesata, nemmeno sapevo dove mi trovavo, avevo completamente perso l’orientamento durante la fuga.
Sulla terrazza non cera nulla, a parte noi due e il piccolo cubetto che, immaginai, doveva essere lo stanzino d’ingresso per la manutenzione degli ascensori. Non era una buona posizione, molti altri edifici intorno erano più alti di noi, tuttavia Desmond non parve preoccuparsene e ne intuii il motivo. Durante la corsa, varie volte ci eravamo trovati sotto tiro, ma i nostri inseguitori non avevano mai esploso un colpo.
Qualunque fosse il motivo, lo volevano vivo.
Questa consapevolezza ci permetteva quindi una relativa tranquillità, anche in quel luogo così esposto. Inoltre, nessuno dei due sarebbe stato in grado di proseguire, senza una pausa.
Continuavo comunque a non capire perchè avesse insistito per trascinarsi dietro la sottoscritta. Ero stata solo un peso, lenta e stanca com’ero, avrebbe dovuto lasciarmi indietro e salvarsi. Di certo senza di me sarebbe arrivato più lontano.
Ancora ansimante, mi lasciai cadere lungo il muro esterno dello stanzino, la testa appoggiata e rivolta verso l’alto.
Desmond era poco distante. Le spalle si alzavano e si abbassavano al ritmo dei suoi veloci respiri, nel tentativo di recuperare fiato. Non riuscivo a vedergli il volto, ma la rigidità del suo corpo parlava per lui. Era arrabbiato, confuso e, forse, anche amareggiato.
“Perchè?”
Il suono uscì flebile, ma fu sufficiente perchè si voltasse. I suoi occhi dorati brillavano anche alla luce della luna.
“Che cosa?”
“Avresti dovuto lasciarmi, permettermi di rallentarli, a quest’ora saresti già stato molto più lontano. Non ho fatto altro che rallentarti per tutta la durata della fuga...perchè mi hai portata con te?”

Non era un rimprovero, affatto, solo volevo cominciare a capire, sciogliere almeno in parte l’ambiguità che si era creata tra noi e nella mia vita. Aveva appena commesso un atto senza apparente senso, avevo bisogno di spiegazioni.
“Tu che avresti fatto?”
Questo era un colpo basso. Rispondere ad una domanda con un quesito. Furbo.
“Non lo so...”
Era vero. Non avevo la più pallida idea di come mi sarei comportata io stessa nella sua situazione. Forse sarei corsa indietro anch’io, come aveva fatto lui...
Fissò lo sguardo nel vuoto, verso la città.
“Non avrei potuto lasciarti lì.”
Questo non rispondeva alla mia domanda.
“Perchè?”
Stavo diventando monotona.
Volevo sapere le sue motivazioni, ma, allo stesso tempo, ne avevo paura...
Si volse di nuovo verso di me, facendo qualche passo, avvicinandosi, mentre un sorriso incredulo si disegnava sul suo volto.
“Davvero non lo immagini?”
No, decisamente non era quello che stavo immaginando io, ne ero certa. Le mie più rosee aspettative vennero brutalmente zittite. Di certo non era quella la motivazione...non sarebbe potuta mai essere quella...
“Penso di no...” dissi, amareggiata.
Sospirò, avvicinandosi e sedendosi al mio fianco, guardandomi negli occhi. Era di fronte a me, non avevo possibilità di fuga.
“Non sopporto le ragazze che si autocommiserano.”
“Non mi sto affatto autocommiserando!”

Maledizione, come faceva ad intuire sempre tutto così precisamente? Seccata mi voltai dall’altra parte.
“Allora ti sottovaluti...o no?”
Continuai a starmene ostinatamente girata dall’altra parte.
“Non sono affari tuoi, mi pare.”
“Pensi che nessuno potrebbe mai interessarsi a te, non ti senti all’altezza nè per aspetto, nè per carattere, ritieni di non essere il tipo di ragazza che potrebbe mai colpire qualcuno. Continuo?”
“Ho detto che non sono affari tuoi!”

Avrebbe dovuto fare lo psicologo. Aveva appena centrato ogni singolo punto capace di farmi montare su tutte le furie, mi aveva appena descritta alla perfezione.
Se anche lui se n’era reso conto, allora non avevo davvero speranze. Per la rabbia, una singola lacrima scese impunemente, prima che potessi bloccarla.
Perfetto, ora la figura era completa.
Già prevedevo i commenti che ne sarebbero usciti, ma mai avrei potuto immaginare quanto invece mi stessi sbagliando.
Chiusi gli occhi, restando voltata, fuori dal suo sguardo indagatore. Volevo scomparire, seppellirmi in una buca profonda e non uscirne prima di almeno un mese.
Poi avvertii una mano posarsi delicatamente sul mio viso, asciugando quell’unica lacrima e costringendo il mio volto a guardare nuovamente dalla sua parte. Aprii gli occhi, solo per trovarmi di fronte i suoi.
“Sbagli...”
Il suo viso era proprio di fronte al mio, il suo sguardo occupava la mia intera visuale. Avevo il cuore in gola, eppure trovai ancora la forze di parlare.
“No, non sbaglio. Sono io quella che ha passato l’esistenza a restare nell’ombra, inosservata, utile solo per confidarsi e magari chiacchierare, io che ho visto i ragazzi che mi piacevano fidanzarsi con le mie amiche e diventare i miei migliori amici, io che vedo quelle donne perfette ronzarti attorno tutti i giorni, sapendo che non potrò mai farti interessare a me come loro riescono a catturare il tuo sguardo. Quindi, non venire a dirmi che sbaglio, dannazione! Non hai nemmeno idea di quello che sto passando per causa tua!”
Ormai la frittata era fatta. La rabbia e la frustrazione mi avevano dato il coraggio di dirgli e rivelargli quanto prima non osavo. Non mi interessava più nulla, ero stufa dei sotterfugi, stufa della confusione e di tutte le ambiguità. Volevo chiarezza, bianco o nero, non quell’infinita varietà di grigi.
Notai dal suo sguardo stupito quanto non si aspettasse un’invettiva del genere da parte mia. Tuttavia non si allontanò di un millimetro.
Sembrava davvero che si stesse divertendo a prendersi gioco della sottoscritta. Non ne potevo più.
“Smettila di guardarmi in quel modo e vedi di allungare le distanze, sono stufa di essere presa per i fondelli da gente che...!”
Non riuscii a finire la frase, perchè mi mise una mano davanti alla bocca, zittendomi e quasi soffocandomi. In quel momento il mio istinto omicida era ai limiti storici.
Chiuse gli occhi, sospirando e aggrottando la fronte. Quando li riaprì vi lessi rimprovero.
“Dio, che fatica riuscire a parlare con te.”
Avrei voluto ribattere con qualche improperio poco femminile, ma non mi lasciava andare, perciò ne uscì solo un incomprensibile mugugnìo.
“Adesso te ne stai buona per un po’ e lasci parlare me, dato che non so quanto tempo ci resti prima che quei maledetti ci trovino. D’accordo?”
Avevo alternative?
Imbronciata, annuii e lui levo la mano dalla mia bocca, permettendomi di respirare nuovamente. Trattenni a malapena l’impulso di inveire contro di lui in lingua madre...
“Bene.”
Si avvicinò ancora di più. Sentivo il sangue ribollire.
“Credimi se ti dico che tutte quelle signorine perfette di cui parlavi e che, secondo te, mi sono state attorno negli ultimi tempi, non so nemmeno chi siano. La maggior parte penso di non averle nemmeno notate.”
“E ti aspetti che ti creda?”
“Hai promesso di lasciarmi finire.”
Mi disse, accorciando ancora di più le distanze tra noi. Lo odiavo quando usava questi mezzucci.
Roteai gli occhi in segno di resa e lo vidi sorridere al mio gesto.
“Ammetto di aver avuto una vita sentimentale piuttosto...alternativa e movimentata in passato...”
Chissà perchè la cosa non mi stupiva, ma tenni fede all’accordo e non proferii parola.
“Tuttavia, da qualche mese a questa parte, mi ritrovo a pensare sempre alla stessa insopportabile ragazzina e la mia vita sentimentale è...morta.”
Probabilmente in quel momento smisi di respirare. Mi aveva trascinata fino lì solo per confessarmi le sue turbe amorose per una tizia che, probabilmente, nemmeno conoscevo?! Dopo quello che gli avevo appena detto, poi?
Già, perchè l’idea che potesse riferirsi alla sottoscritta non mi sfiorava minimamente.
“Bene, adesso mi sono rotta.” Dissi scocciata e mi alzai in piedi. “Scusa, ma non ho intenzione di sorbirmi i problemi sentimentali di nessuno. Se questa ragazza ti piace tanto, va da lei e non perdere tempo con me qui. A questo punto, nemmeno mi interessa sapere perchè mi hai trascinata qui inutilmente.”
Mi spolverai la giacca e feci per scostarmi dal muro, ma Desmond fu più veloce, fulmineo.
Si alzò in piedi e mi bloccò le mani dietro la schiena. Ero in trappola, bloccata tra lui e il muro, come la mia testa aveva appena constatato.
Non potevo muovermi, per di più le sue braccia, impegnate a trattenere i miei polsi, mi cingevano completamente e strettamente, annullando ogni possibile distanza tra noi.
“Che diamine stai facendo?” dissi, con un fil di voce.
L’idea era di urlargli contro, ma la situazione fece si che dalle mie labbra uscisse solo un flebile suono, appena udibile. Era vicino, troppo vicino, la punta del suo naso quasi sfiorava il mio ed il suo respiro arrivava, caldo e avvolgende, fino alle mie labbra.
Stavo cedendo, dannazione.
Una considerevole parte di me se ne sarebbe volentieri fregata di quanto probabilmente stava per dirmi, delle sue spiegazioni e scuse, e avrebbe solamente voluto annullare quell’infima superstite distanza.
Ma il mio autocontrollo ferreo aveva ancora la meglio.
Cercai di liberarmi, ma senza successo.
“Non impari mai. Da me non puoi fuggire...”
“Lasciami, per favore.”

Non avrei retto ancora per molto, in più il dolore della scoperta appena fatta era ancora troppo fresco.
“Tu vuoi sapere perchè non ti ho lasciata indietro?” sussurrò, con un tono di voce così lieve, basso eppure così suadente, che entrambe le mie caviglie minacciarono un crollo strutturale.
Annuii, deglutendo. Avevo la bocca secca.
Vidi Desmond avvicinarsi, portare lentamente il viso accanto al mio, mentre la punta del suo naso percorreva con esasperante tranquillità la via dal mio mento all’orecchio.
Chiusi gli occhi, espirando lentamente, nel vago ed inutile tentativo di non perdere il controllo. Che avessi sbagliato, per una volta?
Le sue parole, sussurrate al mio orecchio, fugarono ogni dubbio...
“Come pensi che avrei potuto continuare la mia esistenza, sapendo che saresti stata nelle loro mani?”
Il mio cuore fece un salto triplo.
“Ho passato gli ultimi mesi a detestare le settimane ed amare i weekend, a correre tutte le mattine al parco sperando d’incontrarti, a tenerti un posto vicino al bancone del bar, solo per poter vedere ogni momento possibile il tuo sguardo assorto mentre ascoltavi la musica...”
Era ufficiale, non stavo respirando.
Sentii le sue mani lasciare i miei polsi, per posarsi delicatamente, ma con fermezza sui miei fianchi. Le mie braccia caddero lungo il corpo, incapaci di sostenersi da sole.
“Ti chiedi ancora perchè non ti abbia lasciato indietro?”
No, decisamente non era più il caso di chiederselo.
Ero felice? Si, eppure non riuscivo a muovermi, se non avessi avuto il solido sostegno del muro, dietro di me, mi sarei potuta accasciare a terra come un palloncino sgonfio.
Il suo viso tornò di fronte al mio.
Scossi la testa, in risposta alla sua domanda. Mi stavo perdendo nei suoi occhi dorati, sempre più vicini...
Sentii il suo corpo aderire al mio, la mia schiena contro il muro, dietro di me, mentre con una mano sollevava delicatamente il mio mento, chiudendo gli occhi. Li chiusi anch’io ed un attimo dopo sentii le sue labbra sfiorare le mie, dapprima esitanti, finchè non annullò le distanze tra noi in un bacio, dolce e atteso per troppo tempo.
Fu come se improvvisamente, mi fossi svegliata da un lungo sonno, persino la stanchezza e la paura della fuga si erano volatilizzate.
Da troppo tempo non provavo quella sensazione, da troppo tempo un ragazzo non mi baciava, prendendomi tra le sue braccia. Quasi non ricordavo più cosa si provasse...
Presa nel vortice di quel momento, gli circondai il collo con le braccia, indugiando sulle sue spalle, forti e atletiche. Incoraggiato dalla mia reazione, Desmond fece scivolare un braccio attorno alla mia vita, attirandomi ancora di più a sè, mentre con una mano mi teneva saldamente la nuca, affondando le dita tra i miei capelli neri. Quel bacio, da dolce divenne intenso, passionale, quasi disperato, come se fosse l’ultimo, mi tolse il respiro, annebbiandomi completamente la mente. Avrebbe potuto fare di me ciò che voleva, in quel momento.
Non seppi dire quanto durò, nè quanto si ripetè...
Ogni qualvolta, senza fiato, le nostre lebbra si separavano, ecco che un semplice sguardo reciproco ci riavvicinava.
Non avevo la minima intenzione di lasciarlo andare e, a giudicare dall’intensità dei suoi baci, nemmeno lui era dell’idea. Persino il pericolo incombente passava in secondo piano.
Quello fu il nostro più grande errore.
In quel momento il mio mondo era completo, perfetto, non necessitava d’altro. C’ero io e c’era Desmond. Basta.
Ma ovviamente la realtà non poteva attendere ancora a lungo prima d’intromettersi.
Un vocio e dei passi sulle scale metalliche dell’edificio ci riportarono sulla terra. Entrambi guardammo nella stessa direzione, poi vidi sul volto di Desmond un’espressione contrita e combattuta che non mi piacque per niente.
“Stanno arrivando.”
Si voltò verso di me, sfilandosi una catenina da collo. Appeso c’era un piccolo ciondolo d’argento dalla forma curiosa, sembrava una specie di triangolo con il fondo curvo e lavorato. Intravidi una minuscola incisione sul retro, forse una frase.
Mi prese le mani e chiuse in esse quell’oggettino, prima di tornara a fissarmi intensamente negli occhi.
“Ascoltami bene, abbiamo poco tempo. Adesso ti nasconderai lì dentro,” iniziò, indicando lo stanzino degli ascensori, proprio dietro di me, “e non ne uscirai per nessuna ragione, sono sicuro che inseguiranno me e nemmeno si ricorderanno della tua presenza.”
Stavo per obiettare, ma mi fermò con un gesto della mano.
“Tu non gli interessi, è me che vogliono. Se dovessi fuggire con me non si farebbero scrupoli ad ucciderti per piegarmi, stanne certa. Non hai idea di che razza di gente sia…”
Il tono freddo e distaccato con cui spiegava la situazione mi dava i brividi. Come poteva essere così calmo in un momento del genere? A meno che…non l’avesse già sperimentato, forse anche più d’una volta.
Mi ritrovai a pensare che in effetti non sapevo nulla della sua vita, prima del giorno in cui ci eravamo conosciuti. Decisi che non me ne fregava proprio niente, io mi fidavo di lui e tanto bastava.
“Dovrò andarmene da questa città, purtroppo e non hai idea di quanto vorrei portarti con me…” era davvero combattuto.
Trattenni a stento una maledetta lacrima che minacciava di rigarmi una guancia. Avevo appena trovato una delle persone più importanti della mia vita, ma già rischiavo di perderla.
“Se entro una settimana non hai miei notizie, cerca qualcuno che porti un simbolo come questo e chiedi protezione. Non vorrei mai mandarti da “loro”, ma saresti comunque più al sicuro che in qualsiasi altro posto. Fino ad allora, non mostrarlo a nessuno, hai capito?”
Annuii.
Ero distrutta. La rabbia bruciante contro il Fato avverso che si stava creando dentro di me avrebbe potuto ridurre in poltiglia tutti i nostri inseguitori, dal primo all’ultimo.
L’unico mio pensiero era: perché?
Lo vidi aprire la porta dello stanzino e farmi segno di entrarvi. I passi sulle scale si avvicinavano.
“Desmond…perché tutto questo?”
Già, per quale motivo stavamo passando quell’inferno? Non aveva senso che si presentassero improvvisamente uomini armati fino ai denti, solo per rapire un semplice barista.
Un sorriso amaro si disegnò sul suo volto.
“Vorrei avere il tempo di spiegartelo…la prossima volta che ci vedremo, lo farò.”
Se ci fossimo rivisti…
Non sapevo perché mi fosse venuto in mente quel pensiero, fu più un fatto istintivo, ma Desmond parve accorgersi della mia preoccupazione inespressa. Mi prese il viso fermamente tra le mani e mi fissò con uno sguardo così sicuro, che le sue parole ebbero il valore di una promessa.
“Cris, noi ci rivedremo, stanne certa.”
Poi mi baciò, così intensamente che dovetti aggrapparmi a lui con tutta me stessa per non venire sopraffatta dal turbine di emozioni che presero a vorticarmi dentro, troppe per un solo essere umano. Sembrava avesse voluto darmi l’ultimo saluto, prima di una lunga separazione…ma quello non era un addio, non lo sarebbe stato. Lo promisi a me stessa.
Poi chiuse la porta ed io rimasi in attesa nel buio, udendo i passi di Desmond correre via, seguiti poco dopo dallo scalpiccio e dalle urla di quei maledetti uomini.
 
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