- Chi sono i Nizariti
I Nizariti, conosciuti anche come Setta degli Assassini oppure semplicemente Assassini (dall'arabo al-Hašīšiyyūn) furono una setta militante ismailita attiva fra l'VIII e il XIV secolo in Medio Oriente.
L'apice della loro attività lo si ebbe in Persia e in Siria a partire dall'XI secolo, in seguito ad una importante scissione della corrente ismailita avvenuta nel 1094 sotto la guida di Ḥasan-i Ṣabbāḥ, detto "il Vecchio della Montagna", la cui roccaforte fu Alamūt, nel nord della Persia, fra Teheran e il mar Caspio. Alla fine del Medioevo questa setta scomparve, praticamente sommersa dal ramo principale dell'ismailismo.
- Le origini
570 d.C: nasce Maometto,il quale afferma di operare in base a una Rivelazione ricevuta,e comincia a predicare una religione monoteista basata sul culto esclusivo di Dio (Allah). prima di Maometto, in medio oriente erano sentite differenti religioni: zoroastrismo,ebraismo, cristianesimo ed altre religioni inferiori, politeiste che però facevano risalire ad allah, l'origine del tutto.Alla morte di Maoetto, non vi fù un vero e proprio erede del culto islamico, cosicchè la sua opera profetica venne contesa fra i suoi familiari, decretando l'inizio dell'era dei califati. fra questi vi era alì, lo sposo dell'unica figlia femmina di maometto, che si definì il vero e proprio continuatore della dottrina islamica. egli a differenza dei califfi che si riferivano alla summa (sunniti) si riferì alla teologia e per questo diede origine al movimento sciita, il quale riconosceva fra i doveri dell'islamico, anche la Jiahd, ossia la guerra santa per diffondere la dottrina. iniziò un lungo periodo di travaglio fra gli schieramenti sunniti e sciiti che continuò fino a dopo la morte di alì. intanto l'islam sciita e sunnita andava via via sempre meglio formandosi e delineandosi, creando sincretismi con induismo, zoroastrismo ed ermetismo. in particolar modo gli sciiti ereditarono un elemento importante della religione induista: il ritorno e la reincarnazione del profeta, visto come un illuminato. gli sciiti ritrovarono inoltre, la loro identità e discendenza da ismaele, figlo di abramo e avo di alì. I Nizariti, o Assassini (“al-Hašišiyyun”) furono una setta militante musulmana (sciita ismailita) attiva tra l’VIII e il XIV secolo. Furono attivi per tutto il Medioevo, ma soprattutto in Persia e in Siria a partire dall’XI secolo, in seguito ad una importante scissione della corrente ismailita avvenuta nel 1094 sotto la guida di Hasan ibn al-Sabbah, detto il Vecchio della Montagna, la cui roccaforte fu Alamut, nel nord della Persia, fra Teheran e il mar Caspio. Alla fine del Medioevo praticamente scomparvero, sommersi dal successo del ramo principale dell’ismailismo. All’inizio, i futuri Nizariti non erano che gli adepti dell’ismailismo in Iran, cioè una setta sciita minoritaria in un paese allora sunnita. Sotto la guida del loro capo carismatico Hasan ibn al-Sabbah, nel 1090 gli ismailiti presero il controllo del forte di Alamut ed estesero la propria influenza all’Iran e alla Siria. Gli adepti venivano inquadrati nei vari gradi della setta, da novizio a gran maestro, secondo il loro livello d’istruzione, di affidabilità e di coraggio, seguendo un piano intensivo di indottrinamento e di addestramento fisico. Hasan terrorizzava i nemici attraverso gli assassini individuali: membri dela setta venivano inviati, singolarmente o a piccoli gruppi, con la missione di uccidere una persona importante. Le esecuzioni, per impressionare di più, erano condotte in pubblico, nelle moschee, preferibilmente il venerdì, giorno sacro dell’Islam. Di solito gli assassini (“fedai”) erano uccisi sul fatto. La serenità con cui si lasciavano massacrare fece pensare ai contemporanei che fossero drogati con hashish, donde l’appellativo di “haschischiyoun” o “haschaschin” (mangiatori d’erba), che produrrà il termine Assassini. Nel 1094, alla morte del califfo fatimida del Cairo Al-Mustansir bi-llah, si aprì una guerra tra i due figli Nizar e Mustali per la successione. Hasan si schierò con Nizar, ma i partigiani di quest’ultimo furono sconfitti in Egitto: fu la rottura tra gli ismailiti di Alamut e tutti gli altri (da qui il termine Nizariti). Sotto il severo governo di Hasan comunque i Nizariti prosperarono.
- Carriera
All'inizio, i membri che in futuro saranno definiti "Nizariti" non erano che gli adepti dell'ismailismo in Iran, cioè una setta sciita minoritaria in un paese allora sunnita. Sotto la guida del loro capo carismatico, Ḥasan-i Ṣabbāḥ, gli ismailiti presero nel 1090 il controllo del forte di Alamūt ed estesero la propria influenza all'Iran e alla Siria.
Gli adepti venivano inquadrati nei vari gradi della setta, da novizio a Gran Maestro, secondo il loro livello d'istruzione, di affidabilità e di coraggio, seguendo un piano intensivo di indottrinamento e di addestramento fisico.
Ḥasan terrorizzava i nemici attraverso gli omicidi individuali: membri della setta venivano inviati, singolarmente o a piccoli gruppi, con la missione di uccidere una persona importante. Le esecuzioni, per impressionare di più, erano condotte in pubblico, nelle moschee, preferibilmente il venerdì, giorno sacro dell'Islam. Di solito gli Assassini ( fidāʾī ) erano uccisi sul fatto. La serenità con cui si lasciavano massacrare fece pensare ai contemporanei che fossero drogati con hashish, donde l'appellativo di hashīshiyyūn o hashashīn (= mangiatori d'erba), che produrrà il termine Assassini.
Nel 1094, alla morte del Imām fatimida del Cairo, al-Mustanṣir bi-llāh, si aprì una guerra tra i due figli Nizār e Mustaʿlī per la successione. Ḥasan si schierò con Nizār, ma i partigiani di quest'ultimo furono sconfitti in Egitto: fu la rottura tra gli ismailiti di Alamūt e tutti gli altri (da qui il termine Nizariti). Sotto il severo governo di Ḥasan comunque i Nizariti prosperarono.
I Turchi selgiuchidi, che regnavano sull'Iran sunnita, costituivano tuttavia una minaccia costante. Essi intrapresero diverse campagne militari contro i Nizariti, ma senza grandi successi. Per reazione, Ḥasan aprì la campagna di esecuzioni mirate contro capi politici e militari. Una delle prime vittime fu il visir dei sultani selgiuchidi Niẓām al-Mulk, nel 1092.
Circa un secolo dopo, durante la Terza crociata, membri della setta degli Assassini cercarono di assassinare anche Saladino, all'assedio di Aleppo (22 maggio 1176).
Ḥasan-i Ṣabbāḥ morì ad Alamūt nel 1124. Gli successe il suo luogotenente Bozorg-ummīd (Grande speranza) e poi il figlio di questi, Muḥammad I, nel 1138. La lotta contro i selgiuchidi proseguì in modo intermittente, con altri assassinî, tra cui quello del califfo abbaside al-Mustarshid nel 1135, e poco dopo di suo figlio al-Rāshid nel 1136.
Chi era Ḥasan-i Ṣabbāḥ ( Al Mualim )
Ḥasan nacque a Qom, in Persia, da una famiglia sciita, ma crebbe a Rayy, presso Teheran.
A 17 anni incontrò per la prima volta un missionario ( dā'ī ) ismailita che, malgrado tutti i suoi sforzi, non riuscì a convertirlo all'Ismailismo. Più tardi si ammalò gravemente e, sconvolto all'idea di morire senza conoscere la Verità, prese contatto con un altro ismailita e finì per convertirsi a 35 anni, verso il 1071.
Fu presto notato da un dignitario ismailita di passaggio a Rey/Rayy, che lo inviò qualche anno dopo al Cairo, in Egitto. Probabilmente a seguito di problemi politici, dovette tornare in Persia nel 1080. Là passò diversi anni molti attivi a percorrere il paese per diffondere la propria fede, avendo ai propri ordini un gruppo di uomini che divenne sempre più numeroso.
Cominciò allora ad essere considerato pericoloso dalle autorità sunnite e fu ricercato attivamente dal vizir selgiuchide di Malik Shāh, Niẓām al-Mulk.
Nel 1090 - aveva ormai più di 50 anni - fece il suo primo colpo da maestro: la presa incruenta della fortezza di Alamūt, nel nord della Persia, fra Teheran e il mar Caspio. A partire da qui estese il dominio degli ismailiti nella regione e la loro influenza nel resto della Persia e in Siria.
Nel 1094, in seguito ad un conflitto di successione per la scelta del futuro Imām sciita, la dottrina ismailita si divise in due tronconi: uno in Egitto ( mustaʿlī ) e l'altro in Persia ( nizārī ). Da allora in poi gli ismailiti persiani nizariti), guidati da Ḥasan ibn al-Ṣabbāḥ, fecero conto sulle loro sole forze. Va notato che Ḥasan non rivendicò mai per sé stesso il titolo di Imām.
Sotto il suo regno si svilupparono gli assassinii politici e la prima vittima importante fu il vizir Nizām al-Mulk. Gli esecutori erano un gruppo di iniziati che si vuole agissero sotto l'effetto di droghe, anche se gli studi più recenti sono tutt'altro che certi che il nome della setta - al-Hašīšiyyūn - derivi in effetti dall'uso dell'hashish.
Marco Polo descriverebbe la sua fortezza come un vero paradiso, ricco di un magnifico giardino, di belle fanciulle, di quattro fontane da cui sarebbero sgorgati vino, latte, miele e acqua, a somiglianza dei fiumi del Paradiso islamico ed è al viaggiatore veneziano che si deve la notizia secondo la quale Ḥasan avrebbe condizionato i suoi seguaci facendo consumare loro vari tipi di droghe. Va però detto che Marco Polo non può essere stato testimone di nessuno di tali fatti dal momento che Ḥasan prese possesso della fortezza nel 1090, a quasi sessanta anni di età, mentre Marco Polo nacque nel 1254 e la fortezza stessa risulta quasi totalmente distrutta da parte di Hulagu Khan solo due anni dopo, ovvero nel 1256.
Personalmente Ḥasan era un uomo austero, che faceva applicare la legge islamica senza tentennamenti.
Fece giustiziare due dei suoi figli, uno per aver bevuto vino e l'altro per un'accusa di assassinio.
Si racconta che lasciasse molto raramente la propria casa e che abbia scritto molto ma quasi tutte le sue opere andarono perdute con la distruzione di Alamūt da parte dei Mongoli nel 1256.
Morì ad Alamūt, di malattia, a novant'anni, nel 1124.
- Le usanze
Come la maggior parte delle sette, che indottrinano i propri adepti attraverso tecniche di persuasione spesso piuttosto dure sia fisicamente che psicologicamente (privazione del sonno, rescissione dei legami con la famiglia), anche i Nizariti utilizzarono tecniche proprie (la promessa di un mondo migliore, la devozione per la guida spirituale), aggiungendovi l'uso di droghe, tra cui l'hashish, ma probabilmente anche vino, oppio e varie solanacee, come il giusquiamo.
Si dice che Ḥasan ibn al-Ṣabbāḥ rapisse coloro che desiderava divenissero suoi adepti - uomini forti e abituati a combattere - facendo loro credere che erano morti e giunti in Paradiso, con l'aiuto di droghe, di una scenografia incantata, di fanciulle bellissime e di grandi quantità di vino. Una volta risvegliati dal torpore, Ḥasan ibn al-Ṣabbāḥ spiegava loro che ciò che essi credevano un sogno non era stato che un'anticipazione del Paradiso, che era loro garantito se fossero morti per il loro maestro.
La descrizione di questo durevole metodo di condizionamento, che sarebbe stato assai avanzato per l'epoca, viene soprattutto dalla leggenda che sorse attorno ai segreti di Alamūt. In Occidente, la pretesa visita di Marco Polo alla fortezza - narrata probabilmente più sulla base della leggenda che per esperienza diretta - è stata a lungo considerata una fonte affidabile. Ma tale visita si svolse nel 1273, quando la fortezza di Alamūt era già stata distrutta dalle truppe mongole. E del resto la descrizione della droga usata evoca piuttosto l'alcol o gli oppiacei, che l'hashish, soprattutto per la sindrome da astinenza.
Comunque sia, questo condizionamento psicologico spinto sarebbe stato applicato soltanto ad un numero ridotto di iniziati ( fidāʾiyyīn ), e non alla maggioranza dei fedeli, maschi o femmine che fossero.
- Il culto
I costumi degli assassini ritratti in un raro libro scampato allo sterminio testimoniano che vi era un culto e delle gerarchie fra gli assassini. Del loro culto e delle loro pratiche non vi è traccia alcuna se non in alcune ricostruzioni o alcune fonti indirette.Il colore dell'abito di un assassino era in bianco ed in rosso. bianco che simboleggia la purezza, ed il rosso il sangue.
I colori simboleggiano il coraggio (bianco) ed invincibilità(rosso).Sebben questi fossero musulmani, la loro dottrina presentava notevoli varianti poichè i reclutati potevano cibarsi di carne di maiale (cibo proibito per ogni islamico).
si ritiene che il vecchio della montagna sia stato una sorta di capo spirituale della Nuova Predicazione (Da'Wa Jadida).
La setta esoterica nacque da uno scisma nella componente sciita dell’Islam e pare che l’hashish fosse dato addirittura come ricompensa ai combattenti di ritorno dagli agguati. C’è anche chi azzarda un parallelismo tra gli Hashashin e Al Qaida. I punti di similitudine sarebbero: l’autofinanziamento tramite sostanze stupefacenti (l’oppio dei Talebani afgani;le riserve di canapa degli Hashashin vendute nei mercati neri), la minaccia violenta alla quale sottoponevano i regnanti e gli sceicchi del Medio Oriente del tempo determinandone le politiche, la struttura interna misteriosa e inafferrabile e l’efferatezza delle loro azioni. fattostà che gli Hashashin durarono 201 anni.
- Alcuni obbiettivi strategici
La fama della setta si sparse immediatamente per il medio oriente;una serie di omicidi riusciti accrebbe il terrore e il rispetto verso gli adepti,che ben presto arrivarono a minacciare gli interessi cristiani in Terrasanta.
Ben presto il raggio d’azione si allargò;ne fece le spese,per esempio, Corrado di Monferrato, re di Gerusalemme,che venne ucciso da due sicari.
Catturati,vennero riconosciuti come due convertiti al cristianesimo
Sotto tortura,raccontarono di essere stati assoldati da Federico Barbarossa,nemico giurato di Corrado.
Una versione probabilmente pilotata dal vecchio della montagna,che aveva tutto l’interesse a mantenere ostili i rapporti fa le varie componenti cristiane,da sempre preda di diffidenze reciproche.
La morte di Corrado rappresentò la punta più alta della strategia della setta;la morte di Hasan,avvenuta poco tempo dopo,segnò anche l’inizio del declino della stessa.
Gli ultimi colpi della setta,di una certa rilevanza,furono l’attentato ad Edoardo d’Inghilterra e l’uccisione di Filippo di Monfort;dopo di che,lentamente,gli omicidi politici iniziarono a diminuire.
Il motivo è da ricercare nell’invasione mongola,che agì come una nube di cavallette su un campo di grano;molti adepti vennero catturati e passati per le armi,mentre le loro rocche,ad una alla volta,cadevano.
ancora altri colpi spettacolari,come l’attentato a Raimondo, figlio di Boemondo IV di Antiochia,il tentativo di ricatto nei confronti di Luigi il santo e nei confronti dello stesso saladino,che riuscì a scampare miracolosamente ad un loro attentato.Gli ultimi colpi della setta,di una certa rilevanza,furono l’attentato ad Edoardo d’Inghilterra e l’uccisione di Filippo di Monfort;dopo di che,lentamente,gli omicidi politici iniziarono a diminuire.
USI E COSTUMI DELLA SETTA
I costumi degli assassini ritratti in un raro libro scampato allo sterminio testimoniano che vi era un culto e delle gerarchie fra gli assassini. Gl’iniziati potevano salire la scala gerarchica solo addestrandosi e lo studio assiduo degli Shura maomettani, opportunamente estremizzati da Hasan. La gerarchia era così costituita: al grado più basso il Fedele, al quale venivano affibbiate le missioni più pericolose e spericolate, e assuefatti dalla dipendenza da stupefacenti obbedivano ciecamente agli ordini gettandosi nelle imprese più ardite che portavano a compimento in luoghi affollati o in pubblico, arrivando al sacrificio estremo della propria vita. Poi i Laici, i Compagni e infine i Maestri (Giovani e Anziani) stretti collaboratori dell'unico Sommo Maestro. Il colore dell'abito di un assassino era in bianco ed in rosso, bianco che simboleggia la purezza, ed il rosso il sangue. I colori simboleggiano il coraggio (bianco) ed invincibilità (rosso). Sebbene questi fossero musulmani, la loro dottrina presentava notevoli varianti poiché i reclutati potevano cibarsi di carne di maiale (cibo proibito per ogni islamico), inoltre praticavano incestuose e perverse orge , dove la presenza di madri e sorelle era una normalità.
Forse la miglior descrizione delle pratiche di questa setta ce la fornisce Marco Polo nel suo diario con queste parole:
"Lo Veglio (...) aveva fatto fare tra due montagne in una valle lo più bello giardino e ‘l più grande del mondo; quivi avea tutti i frutti e li più belli palagi del mondo, tutti dipinti ad oro e a bestie e a uccelli. Quivi era condotti: per tale veniva acqua, e per tale vino. Quivi era donzelli e donzelle, gli più belli del mondo e che meglio sapevano cantare e sonare e ballare ; e faceva credere lo Veglio a costoro che quello era lo paradiso. E per ciò il fece, perché Maometto disse che chi andasse in paradiso avrebbe di belle femmine quante ne volesse, e quivi troverebbe fiumi di latte e di miele e di vino; e perciò lo fece simile a quello che avea detto Maometto. E gli saracini di quella contrada credevano veramente che quello fosse il paradiso; e in questo giardino non entrava se no’ colui che voleva fare assassino".
"All’entrata del giardino avea un castello sì forte che non temeva niuno uomo del mondo. Lo Veglio teneva in sua corte tutti giovani di dodici anni, li quali li paressono da diventare prodi uomeni. Quando lo Veglio ne faceva mettere nel giardino, a quattro, a dieci, a venti, egli faceva loro dare bere oppio, e quegli dormivano bene tre dì; e facevagli portare nel giardino, e al tempo gli faceva isvegliare. Quando li giovani si svegliavano, egli si trovavano là entro e vedevano tutte queste cose, veramente si credevano essere in paradiso. E queste donzelle sempre istavano con loro con canti e in grandi sollazzi; donde egli aveano sì quel che voleano, che mai per lo volere si sarebbero partiti da quel giardino. Il Veglio tiene bella corte e ricca, e fa credere a quegli di quella montagna che così sia com’io v’ho detto. E quando ne vuole mandare niuno di quelli giovani in niuno luogo, li fa loro dare beveraggio che dormono, e fagli recare fuori del giardino in sul suo palagio. Quando coloro si svegliano, trovansi quivi, molto si maravigliano, e sono tristi che si truovano fuori del paradiso. Egli se ne vanno incontamente dinanzi al Veglio, credendo che sia un gran profeta, e inginocchiansi. Egli li domanda: "Onde venite ?" Rispondono: "Dal paradiso" e contagli quello che v’hanno veduto entro, e hanno gran voglia di tornarvi. E quando il Veglio vuole fare uccidere alcuna persona, egli fa torre quello lo quale sia più vigoroso e fagli uccidere cui egli vuole; e coloro lo fanno volentieri, per tornare in paradiso. (...) In questa maniera non campa niuno uomo dinanzi al Veglio della Montagna, a cui egli lo vuole fare; e sì vi dico che più re li fanno tributo per quella paura".
Nella loro azione non mancava inoltre un certo carattere di ritualità, dato che tutte le loro vittime perirono trafitte da coltelli, mentre non fu mai fatto uso di veleni o di armi a distanza. L’omicidio si connotava quindi anche come un atto sacrificale. Antichi culti di morte trovavano quindi nuova vita all’interno dell’Islam e l’omicidio diventava non solo atto dovuto di devozione, ma un’azione sacrale, capace di santificare chi se ne macchiava le mani. Racconta il cronista Guglielmo di Tiro: "Immediatamente chiunque abbia ricevuto l’incarico inizia a sua missione senza pensare alle conseguenze che potrebbero ricadere su di lui o senza preparasi una via di fuga". Per gli adepti, infatti, il conseguimento dell’impunità non aveva alcun senso. Una volta catturati, avrebbero sopportato qualsiasi pena, convinti dell’eroicità del proprio martirio. Sotto il comando di Hassan ben Sabbah gli elenchi ismaeliti ricordano circa cinquanta omicidi, finalizzati a colpire alte personalità avversarie ed a creare un clima di terrore. Nessuno, per quanto ben protetto e ritirato, appariva immune dai loro colpi, dato che determinazione e capacità di dissimulazione permettevano ai sicari di avvicinare qualsiasi obiettivo. L’atmosfera instaurata da questi ripetuti atti di violenza è ben descritta da un cronista arabo che afferma: "Nessun comandante o funzionario osava lasciare la propria casa senza scorta. Sotto i vestiti portavano corazze ed il visir indossava una cotta. Per il timore di essere assaliti gli alti funzionari del sultano chiesero il permesso di poter portare le armi in sua presenza ed egli glielo accordò".
- Etimologia
Nella tradizione, il termine "assassino", che designa anche la setta, deriverebbe da hashish. In effetti, in arabo "mangiatori di hashish" si dice ḥaššāšīn o ḥašāšīn (حَشَّاشِين o حشاشين).
Questa ipotesi etimologica è tuttavia contestata da alcuni arabisti e da alcuni scrittori, come Amin Maalouf che nel suo romanzo Il manoscritto di Samarcanda ne dà un'etimologia diversa e certamente meno evocatrice, facendolo derivare da asās, che significa "basi, fondamenti".
Ecco una raccolta di varie informazioni
http://issuu.com/florence79/docs/nizaritiInsomma ragazzi...Altair e compagnia bella erano dei tossici!
Aggiornato con altre voci riguardo i costumi ecc.
Edited by ll RaiDeN ll - 18/7/2011, 00:30